Gli horoi rupestri dell’attica


CHS/DAI Joint Fellow

La vexata quaestio dei confini demici

Un interessante ed alquanto nutrito dibattito si è svolto ed è tuttora in corso nel tentativo di definire con maggior precisione quale fosse l’effettiva natura dei demi clistenici. L’opinione predominante è che, nel compiere la sua riorganizzazione politica dell’Attica, Clistene immaginò essenzialmente una divisione di tipo territoriale e di conseguenza creò i demi frazionando la regione in tante unità separate e delimitate da confini chiaramente definiti. [1] Ad una visione opposta è pervenuto per primo Lewis, seguito da Thompson, il quale ha sostenuto che Clistene si occupò dei demi attici in quanto serie di villaggi isolati e non come porzioni di territorio con limiti ben precisi. [2] Thompson si riferiva in particolare a quanto sostenuto precedentemente da Lewis nel confrontarsi con l’interpretazione dell’operato di Clistene offerta da Eliot: “Eliot thinks of a deme as a territory; for me, it is much more the group of people living in that territory.” [3] Thompson sottolineava che se tra i demi fossero stati fissati realmente dei confini esatti, allora si sarebbero dovuti ritrovare numerosi horoi sparsi nel territorio dell’Attica posti a demarcare tali termini. Dal momento che cippi di delimitazione di questo genere, relativi a santuari, miniere, strade, etc., sono emersi in cospicua quantità, sarebbe logico supporre, secondo Thompson, che qualora simili iscrizioni avessero effettivamente definito i confini dei demi, ne sarebbero dovuti sopravvivere almeno alcuni esemplari. Lo studioso, inoltre, per avvalorare la sua tesi, ha fatto uso di un passo di Eratostene nel quale, al fine di illustrare l’idea che in assenza di pietre di confine risulta impossibile distinguere con precisione un’entità geografica da un’altra, è portato l’esempio dei demi cittadini di Kollytos e Melite, tra i quali evidentemente non esistevano cippi terminali:

μὴ ὄντων γὰρ ἀκριβῶν ὅρων, καθάπερ Κολυττοῦ καὶ Μελίτης, οἷον στηλῶν ἢ περιβόλων, τοῦτο μὲν ἔχειν φάναι ἡμᾶς ὅτι τουτὶ μέν ἐστι Κολυττὸς τουτὶ δὲ Μελίτη, τοὺς ὅρους δὲ μὴ ἔχειν εἰπεῖν.
Laddove non esistono confini precisi, come a Kollytos o Melite, indicati da stele o muri di cinta, si può senz’altro dire che questo è Kollytos, quest’altro invece è Melite, ma non se ne possono precisare i confini. [4]
Tuttavia, considerare quanto espresso dal fondatore della geografia matematica come una testimonianza dell’assenza di precisi confini tra i demi attici significherebbe travisarne il senso. Eratostene afferma infatti che tra quei due specifici demi non vi erano confini precisi; tale situazione sembra essere presentata cioè come un’eccezione al contesto generale, che prevedeva invece—evidentemente—la presenza di limiti ben definiti. In secondo luogo, va in ogni caso tenuta presente la particolare natura dei demi menzionati, appartenenti ambedue ad una trittia cittadina, uno status evidentemente peculiare e non assimilabile alla totalità dei demi dell’Attica. [5] Inoltre, dichiarando che non era noto alcun horos di confine dell’area di un demo in tutto il territorio dell’Attica, Thompson ometteva l’isolato esemplare, relativo al demo di Peiraieus, iscritto su una stele marmorea: [6]

ὅρος Π[ει]|ραέων [χώ]|[ρ]ας
Esso si data in base alle caratteristiche paleografiche al IV secolo a.C. ed è verosimilmente riferibile alla delimitazione del territorio di Peiraieus o ad una sua porzione. [7] Inoltre, successivamente alla pubblicazione dell’articolo di Thompson, sono stati rinvenuti numerosi altri horoi, in questo caso rupestri, i quali sono stati interpretati da più parti come demarcatori dei territori dei demi. Va osservato che anche questi horoi, come l’iscrizione del demo di Peiraieus, si datano tutti a partire dal IV secolo a.C. Sembrerebbe dunque non escludersi del tutto che lo stato ateniese, o forse le stesse realtà locali in maniera autonoma, possano aver preso la decisione di precisare per mezzo di horoi l’esatta estensione di ciascun demo rispetto alle comunità limitrofe in questa epoca. Con ogni verosimiglianza, i limiti dei demi si delinearono inizialmente non con apposite ufficializzazioni, ma come esito dell’iscrizione della popolazione attica presso i diversi villaggi preesistenti. [8] Ciononostante, la cronologia degli horoi rupestri a noi noti non impedisce di supporre che sin dal momento della promulgazione della riforma costituzionale del 508/7 a.C. gran parte delle unità clisteniche possedesse una ben precisa territorialità e che, di conseguenza, esistessero in realtà tra di esse confini chiaramente definiti, [9] la cui segnalazione concreta sul terreno potrebbe attualmente sfuggirci per molteplici ragioni: le limitazioni originarie potevano consistere in determinati elementi naturali, come fiumi, gole e colline, eventualmente integrati da ulteriori punti di riferimento quali strade, miniere o santuari; [10] si dà anche il caso di stele o cippi, iscritti o anepigrafi, così come altri demarcatori deperibili, ad esempio cumuli di pietre, [11] andati perduti. Non va inoltre trascurata la generale, estrema scarsezza di documentazione epigrafica relativa alle questioni politico-amministrative ateniesi per i quaranta o cinquanta anni che seguirono la riforma clistenica. Di conseguenza, qualsiasi giustificazione ex silentio non risulta comunque convincente.
D’altra parte, indicazioni della potenziale esistenza di confini demici chiaramente definiti non sembrano mancare, se si considerano le testimonianze sulla fissazione di confini relative ad altre realtà del mondo greco. Il pensiero corre in primo luogo agli ὁρισταί, le autorità preposte a stabilire limiti e a vigilare su di essi; [12] tali funzionari sono peraltro menzionati accanto al demarco in un decreto del demo di Peiraeus. [13] Iscrizioni di confine interstatale sono largamente note: si pensi ai celebri esemplari messenici e al contratto in cui si stabiliscono i confini di Meliteia, Pereia, Peumata e Chalai. [14] Per quanto riguarda la questione dei confini dei demi dell’Attica, appare opportuno riflettere sull’ ἐγκτητικόν, una tassa imposta ai cittadini che possedevano proprietà in un demo diverso da quello di appartenenza. [15] La tassa è nota epigraficamente da un decreto del demo di Peiraieus in onore di Kallidamas di Cholleidai, il quale viene insignito di diversi decori, compresa appunto l’esenzione dal pagamento dell’ ἐγκτητικόν. [16] Ci si domanda, allora, in che modo si sarebbe potuto convenientemente riscuotere il tributo, qualora i demi non fossero stati composti da aree definite con esattezza per mezzo di delimitazioni ufficiali; in assenza di precisi confini posti a circoscrivere il territorio di un demo rispetto alle comunità limitrofe, infatti, l’attuabilità dell’esazione dell’ ἐγκτητικόν sarebbe risultata del tutto compromessa: assai elevata sarebbe stata l’eventualità di circostanze nelle quali non fosse chiaro a quale demo appartenesse una determinata porzione di proprietà. [17]
Un’ulteriore indicazione dell’esistenza di confini regolari tra i demi è fornita dalla formula ufficiale utilizzata per l’identificazione dei meteci: nome proprio + οἰκῶν ἐν + nome del demo di residenza. [18] In tal modo vengono designati gli stranieri domiciliati in Attica nei decreti che istituiscono il conferimento di privilegi, nei documenti relativi alla riscossione della μετοίκιον, un’imposta fissa sulla persona, e in ogni altro atto ufficiale riguardante i meteci. [19] Se l’assenza del demotico è evidentemente giustificata dall’impossibilità per un meteco di ricevere in eredità dai propri avi l’afferenza ad una determinata comunità clistenica, il riferimento all’identità del non-demota tramite il luogo di residenza indica piuttosto visibilmente la rilevanza attribuita alla territorialità nella sfera demica. A questo proposito, appare altresì degna di menzione l’εἰσφορά, la tassa imposta in tempo di guerra che gravava su tutti i residenti liberi e proprietari di terreni, compresi i meteci. Essendo i demarchi i funzionari preposti alla riscossione del tributo, appare del tutto verosimile che l’esazione spettasse al demo in cui il meteco risiedeva. [20]
Ancora nell’ambito del materiale epigrafico, una chiara e ben definita territorialità delle unità clisteniche è suggerita a livello più generale dall’ampia e complessa documentazione composta da locazioni di terreni dei demi, horoi di garanzia, rationes centesimarum, registri dei poletai, [21] horoi e atti di locazione di miniere e cave, nonché da tutte le iscrizioni attiche concernenti in qualsiasi modo la terra, nelle quali si allude abitualmente a terreni o proprietà con riferimento al nome di demi. [22] D’altra parte, tale situazione documentaria appare per lo più conforme a quanto si afferma nell’Athenaion Politeia (XXI 4):

…e (Clistene) divise anche il territorio, in base ai demi, in trenta parti, dieci nell’area della polis, dieci intorno alla costa, dieci nell’entroterra …. e rese (con-) demoti coloro che abitavano in ciascuno dei demi, affinché indicassero i nuovi cittadini non designandoli con il patronimico, ma li denominassero in base ai demi; da qui appunto gli Ateniesi si chiamano in base ai demi..
Nonostante il passo non fornisca alcuna indicazione esplicita circa una definizione del territorio demico tramite confini esatti, le espressioni διένειμε δὲ καὶ τὴν χώραν κατὰ δήμους e καὶ δημότας ἐποίησεν ἀλλήλων τοὺς οἰκοῦντας ἐν ἑκάστῳ τῶν δήμων adducono indubbiamente elementi attinenti da un lato ad una concreta segmentazione del terreno (διένειμε τὴν χώραν), e dall’altro al fatto che ogni demota dimorasse in una delle porzioni di chora create tramite quella medesima ripartizione (οἰκοῦντας ἐν ἑκάστῳ τῶν δήμων). Il riferimento ad una territorialità alquanto regolare emerge con una certa evidenza. In tale contesto, altrettanto significativa appare la notizia secondo cui alcuni demi furono denominati da Clistene “in base ai luoghi” [23] (Arist. Ath. XXI 5): προσηγόρευε δὲ τῶν δήμων τοῦς μὲν ἀπὸ τῶν τόπων.
Due importanti osservazioni relative a testimonianze in grado di avvalorare la questione della territorialità demica sono state addotte recentemente da Papazarkadas: si tratta innanzitutto di una serie di decreti ramnusii relativi al III secolo a.C., con i quali il demo conferì onori a vari personaggi, principalmente membri dell’esercito, per aver efficacemente protetto il territorio demico, cui si fa significativamente riferimento tramite il termine χώρα. Il secondo punto riguarda invece le eschatiai, le “terre di confine” che compaiono con grande frequenza nella documentazione demica; [24] poiché tali terreni periferici sono sovente attestati in connessione a demi situati nell’entroterra e a notevole distanza dalla vera e propria frontiera attica, lo studioso prospetta in maniera piuttosto convincente che il carattere liminale che contraddistingue le eschatiai possa intendersi nel senso di “aree situate in corrispondenza della linea di confine dei demi.” [25]
A completamento del quadro documentario sinora delineato, si presenta la testimonianza fornita da uno scolio ad Aristofane (Schol. V Ar. Av. 997):

οὕτως μέρος τι νῦν σύνηθες γέγονε τὸ Κολωνὸν καλεῖν τὸ ὄπισθεν τῆς μακρᾶς στοᾶς, ἀλλ’ οὐκ ἔστι. Μελίτη γὰρ ἅπαν ἐκεῖνο, ὡς ἐν τοῖς ὁρισμοῖς γέγραπται τῆς πόλεως.
La notizia è stata inizialmente intesa da Haussoullier come attestazione del fatto che “les limites des demes urbains étaient d’ailleurs inscrites sur des registres publics”; [26] Jacoby ha chiarito in seguito che negli “Ὁρισμοῖς τῆς πόλεως” andava piuttosto riconosciuto il titolo di un libro di un periegeta anonimo del I secolo a.C., la cui opera, tuttavia, era a sua volta basata su registri ufficiali. [27] Inoltre, nel commento al passo Jacoby ha presentato un frammento dell’autore ellenistico Istro [28] come esempio di confine demico: si tratta di “the enumeration of points marking a boundary”, inteso dallo studioso come “the boundary between two demes, e.g. Kolonos and Oion. These matters were to be found in the Ὁρισμοῖς τῆς πόλεως.” [29] Se si accetta dunque la dimostrazione dell’esistenza di catalogazioni relative ai confini dei demi urbani, si giunge senza difficoltà a concludere che analoghe annotazioni pubbliche dovessero interessare la totalità dei demi attici. In tale ottica, si può concludere che quand’anche i limiti dei demi rurali non fossero sempre concretamente segnati sul terreno, ne doveva comunque esistere una documentazione scritta, probabilmente custodita nell’archivio centrale di Atene. [30]

Gli horoi rupestri dell’Attica

Nel 1962 Eliot pubblicava una serie di iscrizioni rupestri rinvenute in diversi punti del segmento di paralia da lui indagato e trattato nel suo Coastal demes of Attika. La prima epigrafe menzionata dallo studioso si colloca ad ovest di Vari, sulla collina di Lathouriza, su cui sono state individuate tracce di un santuario racchiuso da un muro di cinta databile al tardo V secolo a.C. [31] A breve distanza dall’edificio templare è stata trovata la prima iscrizione di quella che si sarebbe in seguito rivelata una serie composta da tre esemplari, recante il seguente testo (fig. 1): [32]

ΖΩ|>ΟΡΟ<|ΒΑ
Eliot non avanzava alcuna ipotesi interpretativa in merito a tale testimonianza epigrafica, limitandosi ad affermare: “it appears to be a marker of some limited area” ed immaginando un nesso tra la prima abbreviazione e capo Zoster, il promontorio situato nelle immediate vicinanze di Lathouriza. [33] Trattando poi i resti antichi relativi a Lamptrai collocati su una collina posta nei pressi di Kiapha Thiti, lo studioso riferiva l’esistenza di sei iscrizioni incise nella roccia e identiche tra loro, recanti le lettere ΗΟ, evidentemente un’abbreviazione per ΗΟΡΟΣ (fig. 2). [34] In questo caso, tuttavia, gli horoi si connettono con certezza alla delimitazione del santuario che doveva sorgere in età classica sul sito della settecentesca chiesa di Panagia Thiti, la quale conserva inoltre resti antichi murati al suo interno. [35] Ancora nell’ambito dell’esposizione relativa ai demi di Lamptrai, Eliot ha dedicato un’appendice alla trattazione di una serie composta da sei iscrizioni rupestri, rinvenute lungo la cresta del segmento orientale della collina sulla quale si trova la chiesa di Panagia Thiti. [36] Il testo è il medesimo per tutte le epigrafi (fig. 3):

ΟΡSΠΜ
Le iscrizioni sono collocate ad intervalli approssimativamente regolari tra di loro e presentano tutte un unico orientamento, risultando leggibili da parte di chi provenga da sud. Eliot ha ipotizzato una possibile datazione dei documenti, su base paleografica, nel corso del IV secolo a.C.; quanto all’interpretazione, lo studioso ha sottolineato che soltanto il significato delle prime due lettere poteva considerarsi indubbio, trattandosi di una forma contratta di ὅρος. La terza lettera [37] è stata invece intesa come un segno divisorio rispetto agli ultimi due caratteri, i quali costituirebbero, secondo Eliot, una frase di due parole espressa in modo talmente formulare da indicare che il significato dell’abbreviazione doveva essere assolutamente privo di ambiguità. Eliot ha concluso quindi citando la proposta di scioglimento della sigla avanzata da Vanderpool: π(ρὸς) μ(εσημβρίαν), un’idea che lasciava in ogni caso un’ombra di mistero su che cosa effettivamente necessitasse di una linea di confine “pubblicizzata” con tale insistenza.
Eliot aveva mostrato dunque l’esistenza di alcune iscrizioni rupestri in territorio attico (la serie ΖΩ|>ΟΡΟ<|ΒΑ e la serie ΟΡSΠΜ), che potevano considerarsi con certezza degli horoi, ossia dei segni posti ad indicare la presenza di una linea di confine; la loro reiterazione e la posizione prominente denotava verosimilmente una rilevanza pubblica, ma il significato tanto “letterale” quanto funzionale di tali horoi risultava in ultima analisi oscuro.
A partire dai primi anni ’80 del secolo scorso, le scoperte in territorio attico di horoi rupestri per i quali è possibile ipotizzare la funzione di “indicatore demico” hanno conosciuto un notevole e progressivo incremento. Una prima raccolta del materiale è stata operata da Traill nel 1986, [38] il quale, tuttavia, ha incluso nella sua Table of Attic Rupestral Deme Horoi alcune iscrizioni successivamente riconosciute come non pertinenti all’argomento in questione, in quanto relative a confini di terreni appartenenti a privati. [39] A questo proposito, è opportuno sottolineare che rientrano nella presente trattazione esclusivamente gli horoi rupestri che presentano—almeno apparentemente—un carattere pubblico, e non quelli attinenti al diritto privato; sono quindi escluse iscrizioni di confine come quelle pertinenti le cave del Pentelico, [40] così come gli horoi connessi all’attività industriale delle miniere di argento del Laurion [41] e, in generale, tutte le epigrafi eseguite sulla roccia e poste a segnalare limiti attribuibili a terreni di proprietà privata di qualsiasi tipologia, come fattorie, campi adibiti a coltivazione o strutture funerarie. Similmente, si devono omettere in questa sede gli horoi che delimitavano santuari ed aree sacre, i cosiddetti horoi delle trittie e tutte le iscrizioni di confine di strutture e terreni di carattere pubblico contenenti, oltre alla parola horos, uno o più elementi informativi circa la natura o la tipologia della proprietà demarcata, come ad esempio, τε̃ς ἀγορᾶς, τε̃ς ὁδο̃, κρένες, προπύλο δεμοσίο, ἐμπορίο, λεσχέον δεμοσίο. [42]
I documenti presi in considerazione presentano generalmente la parola horos con sigma lunato, iscritta su porzioni orizzontali di roccia, e con lettere di dimensioni notevoli. Tali iscrizioni si trovano di regola in gruppi che vanno a formare delle serie, caratterizzate dalla condivisione da parte dei singoli horoi di caratteri comuni quali dimensioni e forma delle lettere—le quali non risultano comunque necessariamente identiche, data la natura irregolare del supporto incisorio e la conseguente malagevolezza di esecuzione dell’epigrafe—e disposizione lungo ipotetiche linee sul terreno, talvolta a distanza approssimativamente regolare l’uno dall’altro. In alcuni casi, gli horoi presentano inoltre abbreviazioni di vario genere, non immediatamente intellegibili da parte di un osservatore moderno, ma che dovevano risultare di agevole e diretta comprensione agli occhi degli antichi ai quali esse si rivolgevano. [43] Tali horoi rupestri sono emersi in discreto numero in territorio attico ed almeno alcuni di essi occupano posizioni che consentono effettivamente di supporre che fossero posti a segnalare i confini di determinati demi: nella maggioranza dei casi, essi si trovano distribuiti su creste di catene montuose o colline, poste a loro volta in aree marginali rispetto ai centri demici. E dunque, tali iscrizioni forniscono testimonianza a favore della tesi—attualmente condivisa dai più—che prevede l’esistenza di precisi confini geografici tra i demi attici, i quali sarebbero stati demarcati per mezzo di horoi rupestri ed eventualmente integrati tramite ulteriori punti di riferimento naturali, o attraverso elementi di delimitazione quali santuari, strade, cumuli di pietre, etc. Tuttavia, anche tra coloro che sostengono l’interpretazione secondo cui gli horoi in questione avrebbero segnalato confini demici [44] si delineano conclusioni notevolmente eterogenee. Una versione di questa tesi presuppone una delimitazione sistematica e “statale” di tali frontiere. L’idea della responsabilità di un unico agente nell’incisione delle iscrizioni di confine tra i demi emerge dalla spiegazione offerta da Traill, il quale ritiene che tutti gli horoi a noi noti siano inquadrabili cronologicamente nel IV secolo a.C. e che siano stati incisi in connessione con uno specifico evento, ossia la riorganizzazione dell’Attica per mano macedone nel 307/6 a.C. In tale contesto, diversi demi furono trasferiti dalla loro tribù originaria ad una delle nuove phylai macedoni; un’alterazione che, secondo Traill, avrebbe coinvolto non soltanto le unità effettivamente traslocate, ma potrebbe in qualche misura aver avuto ripercussioni sulla totalità dei demi. [45] Secondo Stanton, diversamente, l’iscrizione degli horoi sulle superfici rocciose non fu la conseguenza di una deliberazione effettuata dall’assemblea ateniese, né, verosimilmente, essa fu decretata ufficialmente in ambito locale. Lo studioso ritiene che le epigrafi rappresentino piuttosto l’esito di decisioni prese in maniera informale dai membri di un demo dopo l’altro nel corso di un certo lasso di tempo—ossia durante il IV secolo a.C.—, al fine di proteggere determinate aree appartenenti al loro territorio. Una simile azione delimitativa si sarebbe rivolta in particolare alla salvaguardia delle aree da pascolo, come dimostrerebbero da un lato il fatto che le superfici interessate rappresentano in tutti i casi zone marginali, adatte soltanto a tale utilizzo, e dall’altro la constatazione dell’assenza dei segnali di demarcazione lungo l’intero perimetro di confine dei demi, per cui risultano interessati dalla delimitazione soltanto taluni settori, definiti “cruciali” da Stanton. In tale prospettiva, gli horoi avrebbero avuto lo scopo di scoraggiare i pastori appartenenti ai demi limitrofi dall’oltrepassare insieme alle loro greggi la linea divisoria, ed accedere così al territorio dei vicini. [46]
Non vi è altro modo di valutare adeguatamente le teorie sopra esposte e di delineare una quadro della questione, se non considerando il materiale epigrafico ed il relativo contesto di appartenenza caso per caso. [47]

i. Alepovuni

Alepovuni è il nome della più elevata tra le colline pedemontane che sorgono lungo il lato occidentale dell’Imetto, a breve distanza dai monasteri di Kareas e Kaisariani e approssimativamente a 4 km di distanza in direzione sud-orientale dall’acropoli di Atene (fig. 15). Il sito rappresenta un caso del tutto eccezionale, in quanto nel corso di circa due decenni su questa altura si è giunti al rinvenimento di ben diciannove horoi. Le iscrizioni appartengono a diverse serie e si trovano disposte sul lato occidentale e orientale, nonché sulla vetta del colle. Le prime quattro sono state scoperte da Vanderpool e successivamente pubblicate da Ober nel 1981 e si presentano così (fig. 4):

ΟΡΟϹ [48]
Tre di esse sono allineate e distribuite lungo la cresta nord-occidentale dell’altura e presentano un orientamento da nord a sud, risultando leggibili da parte di chi provenga da est; la quarta epigrafe è posta ad angolo retto rispetto al tratto formato dalle precedenti, è orientata in senso est-ovest e fruibile da un ipotetico lettore che giunga da sud. Il primo editore ha interpretato gli horoi come segnali del confine di una proprietà privata, e in particolare di un’unità di apicoltura, in considerazione dell’inadeguatezza del terreno allo sfruttamento agricolo, dell’assenza di attività di estrazione di marmo e della rinomanza posseduta nell’antichità dal miele dell’Imetto, del quale Alepovuni costituisce un’appendice. [49] Sulla base della presenza del sigma lunato, Ober ha datato le iscrizioni all’epoca romana. In seguito è stato proposto da più parti che la funzione della serie di horoi fosse piuttosto quella di delimitare il confine tra due demi limitrofi, [50] ammettendo inoltre la possibilità di ascendere cronologicamente ad età ellenistica, sino alla fine del IV secolo a.C. [51] Tra il 1985 ed il 1994 Langdon ha rinvenuto quattro ulteriori horoi rupestri ad Alepovuni, i quali si differenziano dai precedenti per la presenza del sigma a quattro tratti. [52] Le iscrizioni si trovano allineate lungo le pendici nord-orientali dell’altura, definendo una linea di confine estesa in senso nord-sud per circa 280 m.; esse mostrano tutte il medesimo orientamento e appaiono dirette ad un ipotetico lettore che guardasse verso est. Le epigrafi condividono inoltre la caratteristica di essere iscritte non su superfici piane e levigate, bensì su tratti rocciosi verticali, irregolari e posti in pendenza. Proprio l’apparente informalità ravvisabile nella selezione delle superfici sulle quali sono stati incisi questi horoi ha indotto Langdon ad individuare nel loro posizionamento un interesse privato piuttosto che pubblico; [53] diversamente, Stanton ha ipotizzato per questa, come per la precedente serie di horoi ad Alepovuni, la funzione di disincentivare il passaggio del confine delineato da parte di pastori e caprai appartenenti ad uno o più demi situati nell’area dell’Ardetto. [54] Ad arricchire ulteriormente la situazione documentaria della collina di Alepovuni è sopraggiunta la scoperta di undici nuove iscrizioni rupestri nella parte occidentale dell’altura, tra il 1992 e il 1993, da parte di Langdon ed altri. Esse comprendono altri sei esempi recanti esclusivamente la parola horos con sigma lunato, nonché cinque che presentano lettere aggiuntive al di sopra e al di sotto di essa. [55] In tre casi si tratta di una Ο nella parte superiore e di una Μ in quella inferiore; nei rimanenti due compaiono sopra una Ζ e sotto una Ο (figg. 5-6). L’utilizzo di lettere supplementari, poste a contrassegnare in maniera fortemente abbreviata ciò che si trova ai due lati della linea, e la loro disposizione rispetto alla parola ΟΡΟϹ indicano inequivocabilmente una datazione ad epoca romana. [56] Una simile cronologia è indicata anche dalla particolare forma della Μ, la cui caratteristica più evidente è il prolungamento dei tratti sia verticali sia diagonali al di là del loro punto di intersezione; sebbene non siano noti paralleli di una tale lunghezza dell’estensione dei tratti, non vi è dubbio che le Μ delle nostre iscrizioni appartengano alla forma “prolungata” propria dell’epoca imperiale. [57] Le caratteristiche paleografiche delle Ζ dei due horoi con lettere aggiuntive non forniscono invece informazioni per la determinazione di una cronologia. L’elemento di maggior peso ai fini della datazione della quasi totalità degli horoi di Alepovuni è certamente il sigma; infatti, ad eccezione della serie con sigma a quattro tratti, i rimanenti esemplari rinvenuti sull’altura presentano tutti il sigma lunato. Le prime attestazioni epigrafiche di tale forma in Attica si collocano nel tardo IV secolo a.C., a partire dal 325 ca.; in seguito essa sembra sparire, per fare la sua ricomparsa nel I secolo a.C.; dopodiché l’uso si mantiene in auge guadagnando progressivamente terreno durante tutta l’epoca romana imperiale. [58] In considerazione di ciò, si assiste alla tendenza da un lato a datare gli horoi con sigma lunato al tardo IV secolo a.C., ossia quando compaiono le più antiche testimonianze, e dall’altro ad assegnarli invece più genericamente ad età romana, tenuto conto dell’uso preponderante che si fece di tale tipo di lettera in questa epoca. Quanto alle epigrafi recanti il sigma a quattro tratti, l’assenza dell’aspirazione iniziale, il cui impiego è circoscritto alle iscrizioni di confine di VI e V secolo a.C., fornisce evidentemente il terminus post quem. La forma piuttosto compatta del sigma, i cui tratti non mostrano più l’andamento obliquo ravvisabile negli esempi di V secolo a.C., conferma il limite cronologico superiore del 400 a.C. Il termine inferiore può essere fissato intorno all’inizio del I secolo a.C., quando si afferma il sigma quadrato a sostituzione pressoché completa della precedente forma. [59] Per ciò che concerne la distribuzione spaziale e la funzione ipotizzabile per le ultime undici iscrizioni trattate, gli horoi provvisti della lettera supplementare Μ condividono un orientamento approssimativamente est-ovest e sembrano essere posizionati in modo da formare una linea piegata ad angolo retto con gli esemplari affiancati dalla lettera Ζ, orientati all’incirca in senso nord-sud. Vi è dunque un’apparente connessione tra i vari horoi con lettere aggiuntive. Decisamente ardua risulta l’interpretazione di tali lettere. Si tratta indubbiamente di abbreviazioni limitate alla sola iniziale di parola, un sistema assai comune in età romana; [60] tuttavia, non è possibile svelare il nome di chi o di che cosa fosse sottinteso in forma talmente ridotta, a meno che nuove scoperte o testimonianze non sopraggiungano a gettare luce sul significato di questi horoi. Neppure le rimanenti iscrizioni, costituite dalla singola parola horos, risultano in ultima analisi di chiara interpretazione; si è tentati di porre almeno taluni di essi in connessione con gli esemplari decisamente affini che costituiscono la serie rinvenuta per prima e pubblicata da Ober nel 1981, trattata nelle pagine precedenti. Quattro dei nuovi horoi sono dislocati lungo le pendici occidentali di Alepovuni in direzione NO-SE (l’ultima iscrizione si trova oltre la parte terminale del declivio) e potrebbero effettivamente aver composto la prosecuzione della medesima linea di confine in questo versante della collina.
Quanto sinora illustrato circa gli horoi rupestri di Alepovuni delinea una situazione assai complessa, dovuta in buona parte al cospicuo numero di epigrafi rinvenute, le quali costituiscono parte di diverse serie e di conseguenza sono riferibili a delimitazioni differenti, eseguite per di più in momenti cronologici anch’essi differenti, presumibilmente a partire dal tardo periodo classico od ellenistico fino all’epoca imperiale romana. L’assenza di tracce archeologiche riconducibili alle attività che dovettero portare all’incisione degli horoi, l’inadeguatezza del suolo alla lavorazione agricola, e l’assenza di cave per l’estrazione di materiali da costruzione non consentono di formulare una tesi circa la funzione dei confini evidenziati. E, d’altra parte, proprio la non chiara compresenza di più linee di demarcazione sull’altura rende altresì difficilmente dimostrabile la teoria secondo la quale tali delimitazioni avrebbero costituito linee di divisione territoriale tra demi limitrofi. [61]

ii. Sagani

Si deve a Langdon e a Camp II il ritrovamento, avvenuto tra il 1988 e il 1990, di una serie composta da quattro iscrizioni rupestri distribuite lungo la vetta del monte Sagani, situato nella parte orientale dell’Attica a breve distanza dalla costa, all’incirca tra la località interna di Spata e quella litoranea di Loutsa (fig. 15). In un momento successivo, nel corso dello scavo di salvataggio di un sito datato al primo periodo elladico, che ha avuto luogo nel 1996 ad opera della soprintendenza locale, è stato individuato un quinto horos della stessa serie a nord dei primi quattro. [62] Le iscrizioni, costituite dalla parola horos con sigma lunato, si trovavano allineate sulla cresta del Sagani costituendo una linea di confine estesa per circa 300 m, e presentavano tutte il medesimo orientamento nord-sud, risultando così leggibili da ovest (fig. 7). Nell’ottica di una delimitazione posta a separare i territori appartenenti a due demi adiacenti, si può immaginare che gli horoi furono posizionati da parte dei membri del demo costiero di Halai Araphenides, identificato a Loutsa, al fine di evidenziare il confine con la comunità adiacente, situata al di là della cresta del Sagani—presso l’odierna località di Hagios Konstantinos—e identificabile presumibilmente con il demo di Konthyle o con quello di Myrrhinoutta. [63] Nel corso dei recenti lavori di costruzione del nuovo aeroporto di Atene nell’area in questione, il sito neolitico di Sagani è stato completamente obliterato. Prima che ciò accadesse, tuttavia, sembra che i frammenti di roccia recanti le iscrizioni siano stati rimossi; in effetti, uno di essi si trova attualmente esposto presso il piccolo spazio museale situato all’interno dell’aeroporto. [64]

iii. Kaminia

La collina di Kaminia si estende presso la costa centro-occidentale dell’Attica, a sud del rilievo di Kastraki, ed è orientata in direzione nord-sud, fungendo così da netta linea divisoria tra il territorio della comunità di Vouliagmeni e quello di Vari-Varkiza (fig. 15). In prossimità di una vetta dell’altura, nel 1975 Wright trovava una prima iscrizione appartenente alla tipologia ΟΡΟϹ, cui è seguita nel 1983 la scoperta di un secondo affine documento rupestre situato poco a nord del precedente, oltre la cresta più settentrionale del Kaminia. [65] Nel 1992 Stanton ha scoperto il terzo horos della serie, che si colloca tra i primi due (fig. 8). [66] Le tre iscrizioni si trovano allineate in senso nord-sud ma presentano orientamenti differenti, risultando fruibili in due casi da ovest (Vouliagmeni) e nel terzo da est (Vari-Varkiza). Due ulteriori horoi sono apparsi in seguito nella parte meridionale del Kaminia. Il primo è stato individuato da Goette presso una cresta sviluppata in direzione est-ovest; [67] a nord del primo, nel 1994 Stanton ha riconosciuto il secondo, di dimensioni leggermente inferiori, ma del tutto simile al precedente. [68] I due horoi appaiono privi del sigma finale ma dotati di segni a forma di V disposta orizzontalmente ad entrambi i lati della parola (fig. 9):

>ΟΡΟ< [69]
Essi sono entrambi leggibili all’incirca da sud verso nord, e di conseguenza dovevano rivolgersi a chi si trovasse ad est (Varkiza). Nonostante le evidenti discrepanze grafiche tra queste iscrizioni e le tre disposte presso la vetta maggiore del Kaminia, i cinque horoi appaiono complessivamente disposti a formare un’unica linea di confine estesa in senso nord-sud per oltre 1200 m lungo la cresta dell’altura, costituendo dunque con ogni verosimiglianza parte della medesima serie. [70] La posizione prominente e la notevole estensione della delimitazione da essi tracciata consentono di ipotizzare che non si trattasse qui della demarcazione di un terreno di proprietà privata, bensì del confine tra due demi. [71] Le comunità clisteniche in questione si possono identificare con relativa certezza ad ovest con Halai Aixonides, localizzato a Vouliagmeni, [72] e dall’altro lato con Anagyrous, collocato a Vari-Varkiza. [73] Quanto alla datazione degli horoi e della relativa opera di delimitazione, in analogia e coerentemente con quanto sostenuto in riferimento alla totalità delle iscrizioni di confine rupestri in Attica, la tendenza generale è quella di riferirsi al tardo IV secolo a.C. [74] Tali horoi non rappresentano le uniche testimonianze epigrafiche di tipo rupestre individuate sulla superficie del Kaminia. Nella sua pubblicazione dell’iscrizione di confine rinvenuta nella porzione meridionale del rilievo, Goette ha incluso un ulteriore documento graffito identificato dallo stesso studioso ad una distanza di circa 400 m ad ovest del “suo” horos. [75] In un punto caratterizzato da una peculiare posizione topografica, dalla quale si gode di un’eccellente vista tanto della sottostante baia di Vouliagmeni quanto di tutti i tratti salienti che contraddistinguono il settore costiero esteso tra il suddetto golfo e la città di Atene, comprendendo nel panorama in lontananza anche Egina, Salamina e la costa orientale del Peloponneso, una formazione rocciosa posta pressappoco orizzontalmente reca sulla sua superficie la seguente iscrizione (fig. 10):

Σοτιμίδες εἶναι φεμὶ οἶος π- →
αρὰ τὲν hορία[ν] ←
Il testo è inciso in senso bustrofedico su due line, [76] il cui andamento si adegua alle irregolarità del piano della roccia: la porzione della prima linea dell’epigrafe successiva al nome Sotimides è infatti situata in posizione lievemente inferiore rispetto ad esso, alla cui epsilon inoltre è letteralmente “agganciata” la epsilon del seguente ΕΙΝΑΙ, che ne sfrutta alcuni tratti. Una fenditura sulla superficie rocciosa divide in due parti la prima forma verbale, la cui lettura risulta essere φεμί. Le lettere finali di tale linea (ΟΙΟΣΠ) si trovano ulteriormente spostate in basso ed inclinate verso destra, mentre la seconda linea dell’iscrizione presenta un andamento notevolmente più regolare. Qui, la epsilon di ΤΕΝ si conserva solo parzialmente, mentre la Ν integrata al termine del testo (ΗΟΡΙΑ[Ν]) non dovette verosimilmente mai trovarvi posto, poiché in tale punto la roccia appare pressoché intatta. La presenza del segno di aspirazione Η, l’andamento bustrofedico e le caratteristiche paleografiche nel loro complesso inducono ad attribuire all’epigrafe una datazione all’incirca alla metà del VI secolo a.C.: [77] elemento peculiare è la notevole lunghezza della prima asta di Μ, Ν e Π rispetto alle rimanenti aste, considerevolmente più brevi. Il sigma è a tre tratti, omicron e phi presentano una forma squadrata. Mentre omicron e theta quadrati non sono estranei alle iscrizioni attiche, il phi di tale foggia costituisce invece un elemento inusuale. Un parallelo assai stretto è offerto da un abbecedario rupestre ugualmente databile intorno alla metà del VI secolo a.C. e recentemente rinvenuto sul Keramoti o Barako, il rilievo che chiude ad est la piana di Vari e la fascia costiera di Varkiza. [78] Il contenuto del graffito pare potersi tradurre nel modo seguente: “Io, Sotimides, dico di trovarmi da solo presso il confine”. Si tratta di una struttura sintattica alquanto peculiare, un nominativo cum infinitivo, di cui non sono noti precisi paralleli in ambito epigrafico. È altresì singolare l’uso del della formula παρὰ τὲν hορίαν, sia relativamente al costrutto, non altrimenti testimoniato, sia per la presenza del termine ὁρία, forma derivante da ὅρος, cui si conforma nel significato di “confine, frontiera”, ma rispetto al quale conosce un impiego assai più limitato. [79] Quanto al personaggio che si auto-menziona, non sono note altre attestazioni del nome Σοτιμίδες in Attica, se non in un caso, recante però la forma Σωτιμίδης ed ascrivibile alla metà circa del IV secolo a.C. [80] Secondo l’interpretazione inizialmente offerta da Goette, intorno al 550 a.C. un tale di nome Sotimides volle rendere noto per mezzo di un’iscrizione, verosimilmente incisa di suo pugno, di essere l’unico proprietario di un terreno sulla collina di Kaminia. Tale supposto possedimento si sarebbe trovato accanto ad un confine cui era sufficiente fare riferimento definendolo “τὲν hορία” affinché tutti comprendessero di quale demarcazione si trattasse. La successiva scoperta di due ulteriori epigrafi rupestri situate a breve distanza dal sito del primo graffito, le quali furono con ogni evidenza incise dallo stesso personaggio, ha tuttavia indotto Goette a rivedere la sua interpretazione. [81] In tali testimonianze, infatti, Sotimides afferma esplicitamente di essere un pastore. L’iscrizione sulla roccia in cui costui si diceva “solo presso il confine” costituisce dunque una straordinaria testimonianza della solitudine provata da un pastore che, verso il 550 a.C., era solito trascorrere lungo tempo lontano da casa, in completo isolamento, per condurre al pascolo il proprio gregge. I graffiti di Sotimides rientrano nel novero di una serie estremamente cospicua di iscrizioni rupestri trovate da Langdon nel corso di decenni nella zona collinare dell’area costiera in questione. A tale insieme di documenti appartiene altresì il succitato abbecedario arcaico, rinvenuto dallo studioso sul Keramoti o Barako insieme a centinaia di altre iscrizioni rupestri—tutte appartenenti al VI secolo a.C.—, le quali restituiscono per lo più nomi, ma anche iscrizioni di altro genere, nonché rappresentazioni di una grande varietà di animali, navi, cavalieri, etc. [82] Tale eccezionale scoperta testimonia dunque un’intensa presenza insediativa nel golfo di Vari/Varkiza in età arcaica, attestando al contempo un’ampia diffusione della pratica epigrafica anche tra gli strati sociali meno elevati della società ateniese ed un altrettanto sorprendente grado di alfabetizzazione della popolazione rurale attica in tale periodo. [83] Risulta così smentita la conclusione cui giungeva Lauter nel 1991, il quale, in seguito ad una esplorazione a tappeto del Keramoti, definiva l’altura “ein merkwürdig ‘unbeseeltes’ Gebirge, das Menschen kaum anzieht”, [84] una situazione decisamente atipica per le colline e i rilievi attici, generalmente abitati, o per meglio dire, utilizzati tramite l’installazione di santuari montani o per scopi di altro genere.
Rivolgendoci nuovamente alle testimonianze epigrafiche rinvenute sul Kaminia, considerato l’ampio scarto temporale che li separa, non è certo opportuno stabilire un nesso diretto tra il graffito di Sotimides ed i cinque horoi rintracciati poche centinaia di metri ad est; tuttavia, la compresenza di due segnalazioni relative ad epoche diverse facenti entrambe riferimento ad un confine localizzato in questa area, è certamente significativa. Ponendo la questione in termini generali, essa potrebbe deporre a favore dell’idea di una preesistenza di delimitazioni più o meno esatte tra le diverse comunità disseminate in territorio attico, demarcazioni che si conservarono—almeno in parte—anche in seguito alla suddivisione della regione prevista con la riforma clistenica. Il mantenimento di tali linee confinarie nel corso del tempo ben si spiegherebbe con la loro disposizione lungo creste di colline e rilievi, da cui risulta un andamento nettamente definito e distintamente leggibile nel paesaggio. Ad ogni modo, almeno in relazione al caso specifico della collina di Kaminia, risulta pressoché indubbia la presenza di un confine chiaramente contrassegnato tra le comunità situate ad est e ad ovest dell’altura, confine che dovette esistere tanto in epoca preclistenica, quanto nel periodo successivo alle riforme promosse dallo statista ateniese. [85]

iv. Megalo Baphi

Nel 1983 Lohmann rendeva noto il ritrovamento di una serie di cinque horoi allineati lungo la dorsale carsica del Megalo Baphi, che si estende nell’Attica meridionale tra le vallate di Charaka e Legrena (figg. 15-16). [86] La scoperta è stata resa possibile grazie alle indicazioni ricevute dallo studioso da parte del pastore Yannis di Legrena, le cui segnalazioni hanno permesso la successiva identificazione di una sesta iscrizione situata circa 600 m a nord delle testimonianze rinvenute in precedenza. [87] Lo stesso Yannis sosteneva inoltre di essere a conoscenza di un settimo horos collocato ulteriormente a nord, il quale tuttavia, nonostante le approfondite ed estensive ricerche effettuate in tutta la zona, non è mai stato rintracciato. [88] Gli horoi individuati sono incisi su porzioni di roccia di dimensioni notevoli, appaiono totalmente assimilabili tra di loro per forma, altezza e ductus delle lettere (la tipologia è ΟΡΟϹ), e si trovano tutti orientati in modo da risultare leggibili da est (Legrena), allineandosi con precisione sull’intera estensione della cresta del Megalo Baphi ed anche oltre, per una lunghezza di circa 2 km (fig. 11 a-g). Come è stato dapprima osservato da Lohmann, misure simili non consentono di supporre la demarcazione di una proprietà fondiaria, inducendo piuttosto a pensare ad un’opera progettata e realizzata in maniera unitaria, e più precisamente ad una delimitazione di tipo pubblico. [89] Tale limite corrisponderebbe pienamente al confine orientale del demo di Atene rispetto alla comunità limitrofa sita nella valle di Legrena, probabilmente Amphitrope, anche se tale identificazione permane non del tutto sicura. [90] Come per le testimonianze rupestri trattate in precedenza, la datazione proposta per la demarcazione del confine tracciato lungo la cresta del Megalo Baphi è il tardo IV secolo a.C.; [91] alle considerazioni sulla paleografia delle iscrizioni, in base alle quali si profila tale cronologia, si allinea in questo caso un dato di carattere archeologico: le indagini condotte da Lohmann nell’area sud-occidentale dell’Attica hanno infatti rivelato che le valli di Charaka, Aghia Photini e Thimari—corrispondenti al territorio dell’antico demo di Atene—subirono un intenso spopolamento tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C., per essere poi nuovamente occupate soltanto nella tarda età romana imperiale, quando sembra che vi si insediassero pastori nomadi, lasciando tracce del tutto trascurabili. A ciò si aggiunga che il periodo di maggior fioritura e di più intenso popolamento del demo di Atene e delle aree ad esso limitrofe si colloca proprio nel IV secolo a.C.; di conseguenza, tale momento cronologico appare il più confacente e logico per la messa in atto di una simile opera di delimitazione. [92] In ogni caso, tale impresa fu verosimilmente concepita ed eseguita dal demo di Atene, e proprio in quanto progetto condotto su iniziativa di una comunità demica e quindi della popolazione residente nel demo in questione, difficilmente poté avere come scopo primario ed esclusivo quello di demarcare i confini politici con il demo limitrofo. La decisione di segnalare in maniera tangibile ed accurata la presenza dei limiti sul terreno dovette scaturire dall’esigenza concreta della popolazione locale, o di una parte di essa, di salvaguardare determinati punti del proprio territorio, in quanto aree di vitale importanza per la produzione agricola, la pastorizia, la raccolta di legna e per ulteriori eventuali modalità di sfruttamento delle risorse. Una situazione di tale genere fornirebbe una spiegazione plausibile della circostanza per cui i confini in questione appaiono sempre evidenziati tramite horoi rupestri soltanto in determinati tratti, e non nell’intero perimetro del territorio demico. Nel caso specifico del Megalo Baphi, come anche nei contesti qui trattati in cui si ipotizzano delimitazioni di tipo demico e non privato, si devono dunque ammettere motivazioni di carattere economico—o in ogni caso “materiale”—che condussero alla segnalazione sul terreno dei confini, i quali di fatto poi corrispondevano alle frontiere ufficiali, politiche dei demi stessi. [93]

v. Thiti

Si è accennato in precedenza alla pubblicazione, avvenuta nel 1962 da parte di Eliot, di una serie di sei iscrizioni rupestri disposte ad intervalli approssimativamente regolari lungo la cresta della parte orientale dell’altura sulla cui estremità occidentale si trova la chiesa della Panagia, presso Thiti (figg. 14-15). [94] Le epigrafi, il cui testo si presenta come ΟΡSΠΜ (fig. 3), sono tutte orientate pressappoco in senso NO-SE e dovevano di conseguenza essere dirette a chi si trovava a sud. Il loro primo editore proponeva una datazione su base paleografica nell’ambito del IV secolo a.C., senza tuttavia sbilanciarsi sull’ipotetico significato di quelle che paiono chiaramente essere due abbreviazioni separate da un segno divisorio (S) [95] e limitandosi a ripetere la proposta di scioglimento offerta da Vanderpool: ὅρ(ος) π(ρὸς) μ(εσημβρίαν). L’interpretazione lasciava comunque dubbioso Eliot per via della problematicità insita nell’individuazione dell’oggetto di una delimitazione “verso mezzogiorno,” [96] una perplessità del tutto condivisibile, data la vaghezza di una simile demarcazione, la quale parrebbe effettivamente fornire ben poche informazioni. La formula πρὸς μεσημβρίαν compare in una delle iscrizioni di confine tra Messenia e Laconia, accanto all’espressione analoga πρὸς δύσιν. [97] Va in ogni caso notato che quest’ultima epigrafe non è un horos, bensì un documento contenente precise disposizioni circa la collocazione di horoi sul terreno; esso reca cioè l’indicazione della posizione esatta in cui porre il segno di delimitazione unitamente al testo da iscrivervi, e la spiegazione del significato delle varie abbreviazioni utilizzate. Alcuni degli horoi eretti in base a tali istruzioni sono stati rintracciati sul terreno; essi presentano le formule ΟΡΟΣ|ΛΑΚΠΡΜΕΣ, ossia ὅρος Λακ(εδαίμονι) πρ(ὸς) Μεσ(σήνην), [98] ed anche la forma sciolta ὅρος Λακεδαίμονι πρὸς Μεσσήνην. [99] L’espressione πρὸς μεσημβρίαν è quindi attestata in iscrizioni che indicano i punti in cui andava posizionato un determinato cippo confinario o un horos rupestre, mentre di fatto non vi sono testimonianze dell’utilizzo di queste espressioni sugli horoi stessi. [100] Alla luce delle formule iscritte sugli horoi messenici, la proposta di scioglimento delle iscrizioni di Thiti formulata da Vanderpool sembrerebbe fornire un utile spunto ai fini interpretativi; parrebbe cioè plausibile intendere l’abbreviazione ΠΜ come “πρὸς Μ …”, ossia “verso una particolare località o sito”, in analogia con il modello messenico, che recita appunto “verso Sparta …. verso Messene”. Non risulta tuttavia accettabile la formula πρὸς μεσημβρίαν, “verso meridione”, la quale, come si è osservato, assieme ai summenzionati πρὸς δύσιν e πρὸς ἀνατολήν, costituisce esclusivamente un’indicazione spaziale.
Un nuovo interesse nei confronti degli horoi rupestri situati presso Thiti si è manifestato soltanto venti anni dopo la loro pubblicazione da parte di Eliot. Nel 1982 Traill e Lauter hanno proposto una lettura delle iscrizioni pressoché identica l’una all’altra, cui è seguita tuttavia un’interpretazione in parte differente. Il primo ha sciolto le abbreviazioni come ὅρ(ος) π(αραλίας καὶ) μ(εσογαίας), sostenendo che il confine così demarcato fosse posto a separare i territori di due demi limitrofi, Lamptrai Superiore e Lamptrai Inferiore; [101] la datazione al IV secolo a.C. formulata da Eliot in base ai caratteri ben si accorderebbe con la teoria, avanzata anche in questo caso da Traill, secondo cui l’incisione degli horoi sarebbe stata una diretta conseguenza della riorganizzazione tribale dell’Attica avvenuta nel 307/6 a.C., quando Lamptrai Superiore fu trasferita dalla phyle Eretteide (alla quale appartenevano in precedenza entrambi i demi Lamptrai) alla tribù Antigonide di nuova creazione. [102] Lauter proponeva viceversa di leggere ὅρ(ος). Π(αραλίας) Μ(εσογείας), intendendo come oggetto della delimitazione le regioni costiera ed interna dell’Attica. [103] Sottolineando la necessità della presenza di un ulteriore segno divisorio tra la Π e la Μ affinché le sovraesposte interpretazioni risultino plausibili, Stanton ha successivamente avanzato l’idea di sciogliere la sigla delle sei iscrizioni nel modo seguente: ὅρ(ος) Π(α)μ(βωταδῶν). [104] Torneremo tra breve a tale proposta interpretativa. A ben vedere, diverse sono le difficoltà che emergono nell’accettare le proposte di Traill e di Lauter. In particolare, il suggerimento di Traill di considerare gli horoi come segnali del confine tra i due demi chiamati Lamptrai, presenta innanzitutto il limite di presupporre che Lamptrai Superiore venisse ordinariamente detto anche “interno”, una congettura che non si basa su alcuna reale testimonianza, dal momento che tale denominazione non è presente né nelle fonti epigrafiche né in quelle lessicografiche. Le attestazioni citate con completezza dallo stesso Traill mostrano chiaramente che mentre Lamptrai Inferiore (Λαμπτραὶ ὑπένερθεν) veniva abitualmente definito anche costiero (Λαμπτραὶ παράλιοι), ciò non valeva invece per Lamptrai Superiore (Λαμπτραὶ καθύπερθεν), per il quale non sono noti appellativi alternativi. [105] A tale valutazione si aggiunga la succitata problematicità inclusa nel considerare la sigla ΠΜ come un’abbreviazione non di una bensì di due parole, senza che tuttavia sia presente un adeguato segno divisorio tra le due lettere. A dimostrazione dell’ammissibilità della proposta interpretativa presentata, Traill ha per di più addotto tre esempi di iscrizioni rupestri confinarie in forma abbreviata che tuttavia, in verità, non avvalorano affatto la teoria esposta dallo studioso; si tratta dei celebri horoi incisi sul Monte Paximadi e posti a separare i territori della Laconia e della Messenia, i quali presentano i seguenti testi: a) Μ|Ο|Λ, ossia ὅ(ρος) Μ(εσσήνη̩ καὶ) Λ(ακεδαίμονι) b) ΟΡΟ, c) ΟΡΟΣ|ΛΑΚΠΡΜΕΣ, cioè ὅρος Λακ(εδαίμονι) πρ(ὸς) Μεσ(σήνην). [106] E’ facilmente constatabile la sostanziale diversità che intercorre tra tali iscrizioni e gli horoi individuati presso Thiti: in a) la Μ interpretata come Μ(εσσήνη̩) e la Λ intesa come Λ(ακεδαίμονι) sono poste rispettivamente al di sopra ed al di sotto di ΟΡΟ, seguendo uno schema già attestato nell’ambito delle iscrizioni di confine appartenenti ad epoca romana, per cui viene indicato graficamente che cosa si trova ai due lati della linea di demarcazione. [107] Nel caso di c), di nuovo, le lettere ΛΑΚ sono separate da ΜΕΣ tramite l’abbreviazione di πρ(ὸς) interposta fra di esse. [108] Al contrario, in ΟΡSΠΜ il segno divisorio è soltanto uno, collocato dopo ΟΡ, mentre nulla si inserisce a disgiungere le lettere Π e Μ, le quali di conseguenza sembrerebbero costituire una singola parola. [109] La proposta interpretativa di Stanton cui si è fatto accenno in precedenza prevedeva il seguente scioglimento delle abbreviazioni: ὅρ(ος) Π(α)μ(βωταδῶν). Ci troveremmo quindi, ancora una volta, nell’ambito della delimitazione del territorio appartenente ad un demo, nella fattispecie il demo di Pambotadai. A proposito della localizzazione di questa comunità clistenica, Stanton ha sottolineato che Pambotadai fu individuato dai primi topografi a grandi linee nell’area in questione, benché i supporti per una simile identificazione risultino piuttosto tenui. [110] Considerate le informazioni prive di chiarezza fornite dalle liste pritaniche, [111] la ricerca non è successivamente giunta ad alcun punto fermo circa l’ubicazione del demo: Traill ha pensato in un primo momento ad una possibile collocazione presso Hagios Dimitrios, assegnandolo inoltre, non senza incertezza, alla trittia costiera della phyle Eretteide; [112] ciò nonostante, egli ha in seguito rinnegato la localizzazione proposta in precedenza per via dell’assenza di Pambotadai dalla lista dei demi costieri redatta da Strabone. [113] Va tuttavia sottolineato che tale catalogo si è dimostrato essere non sempre particolarmente accurato: a titolo esemplificativo, si ricorda che in esso sono omessi i demi costieri di Deiradiotai ed Araphen, nonché probabilmente quello di Kopros. Il Geografo tende inoltre a nominare sia i demi costituzionali, sia anche talune altre località che non detenevano in realtà lo status di demo, ma che si trovavano dislocate sulla costa. Di conseguenza, non si ritiene corretto considerare come non costiero un demo soltanto per il fatto di non essere menzionato nel suddetto elenco. [114] In ogni caso, gli ulteriori indizi addotti da Stanton a sostegno dell’individuazione di Pambotadai nella valle di Lombarda, pur generalmente validi, per stessa ammissione dello studioso non risultano pienamente soddisfacenti a dimostrare tale localizzazione. [115] Rivolgendo nuovamente l’attenzione alla proposta di interpretazione del testo degli horoi avanzata da Stanton, si può tuttavia agevolmente constatare una maggiore verosimiglianza rispetto all’idea di scioglimento delle abbreviazioni esposta dai precedenti commentatori; se infatti, come si è osservato, non parrebbe plausibile ritenere che la sigla ΠΜ stia ad indicare due parole, data l’assenza di un appropriato segno divisorio tra le due lettere, in analogia col simbolo interposto tra di esse e il precedente ΟΡ, è viceversa del tutto verosimile supporre che ΠΜ sia la forma abbreviata di una singola parola; una forma ottenuta tramite la combinazione dell’abbreviazione per contrazione e per troncamento, per cui la prima metà della parola sarebbe contratta e la parte finale soppressa. Ad ogni modo, non vi sono paralleli per un’abbreviazione di questo genere in Attica prima dell’epoca romana, e il procedimento della contrazione in generale diviene piuttosto frequente in età imperiale. [116] Tale constatazione di carattere cronologico ha indotto Stanton a collocare l’incisione degli horoi presso Thiti in un momento posteriore rispetto agli “altri” confini demici [117] —databili probabilmente nella seconda metà del IV secolo a.C.—e ad ipotizzare che con la loro disposizione sul terreno Lamptrai volle forse “comunicare” ai demotai di Pambotadai di non oltrepassare la linea di delimitazione del proprio territorio. [118]
A mio avviso, in definitiva, nessuna delle numerose spiegazioni proposte nel tentativo di comprendere il significato e la funzione degli horoi ΟΡSΠΜ di Thiti risulta convincente. [119] Si deve forse ammettere un “errore” di partenza, nell’approccio interpretativo sinora impiegato dagli esegeti dei documenti in questione. Poiché tale plausibile “svista” interesserebbe anche gli horoi ΖΩ-ΒΑ di Lathouriza, trattati qui di seguito, per l’argomentazione relativa a quest’ultima riflessione si rimanda alla parte terminale della trattazione della serie di horoi di Lathouriza.

vi. Lathouriza

La collina di Lathouriza si innalza ad occidente di Vari, località situata presso l’estremità meridionale dell’Imetto, e presso la quale si identifica il demo di Anagyrous (fig. 15). In diversi punti dell’altura la ricerca ha messo in luce notevoli tracce insediative e di attività collocabili complessivamente tra il periodo tardo geometrico e gli inizi dell’età classica. [120] La vetta del Lathouriza è occupata dalle labili tracce delle fondamenta di un tempio doppio di età classica, recante un altare di fronte al lato orientale e cinto da una fortificazione. [121] Esattamente alle spalle dell’edificio templare è stato individuato il primo di una serie formata da tre horoi rupestri il cui testo recita ΖΩ|>ΟΡΟ<|ΒΑ e che è stato pubblicato in maniera piuttosto concisa nel 1962 da Eliot (fig. 1). [122] Le rimanenti due iscrizioni sono state rinvenute nel 1975 da Vanderpool e Watrous e sono state successivamente edite da Langdon; [123] i tre horoi sono orientati in modo simile—con lettura da sud a nord—e si conformano alla medesima linea disposta in senso NE-SO creata dalla morfologia della collina. Le epigrafi, disposte su tre linee, mostrano centralmente l’abbreviazione del termine ὅρος fiancheggiata su entrambi i lati da un segno a forma di V disposta orizzontalmente e con l’apice rivolto verso l’interno; [124] simboli affini sono impiegati in talune iscrizioni greche per indicare un’abbreviazione, ma sono contraddistinti dall’esibire sempre gli angoli diretti esternamente, una caratteristica che esclude la possibilità di interpretare in maniera analoga gli esemplari di Lathouriza. [125] Questi ultimi potrebbero piuttosto svolgere la funzione di indicare in modo approssimativo, direttamente sul terreno, la linea di confine segnalata dagli horoi. [126] La prima e la terza linea delle nostre iscrizioni presentano rispettivamente le lettere ΖΩ e ΒΑ, ridotte in un caso a Ζ e Β, con la Ζ inclinata verso sinistra e la Β distesa in senso orizzontale. Tale difformità non preclude la possibilità di risolvere che i tre horoi siano stati incisi contemporaneamente e che facessero quindi parte della medesima serie, se si considera la somiglianza complessiva delle epigrafi e la loro significativa disposizione lungo la cresta dell’altura. Il caratteristico stile angolare che contraddistingue le lettere delle tre iscrizioni parrebbe consentire di circoscriverne la datazione ad epoca adrianea o antonina, e in particolare agli anni 120–210 d.C., [127] circostanza non usuale nel caso delle epigrafi rupestri, la cui cronologia risulta normalmente di non agevole determinazione. Quanto alle congetture sullo scioglimento delle abbreviazioni che precedono e seguono la parola horos, le proposte sinora avanzate sono due: Langdon ha suggerito di interpretare il testo nel modo seguente: Ζω(στηρίων)|ὅρο(ς γῆς vel χωρίου)|βα(σιλικῆς/οῦ). La connessione dell’abbreviazione ΖΩ con il promontorio situato ad ovest di Lathouriza e noto nell’antichità come Capo Zoster sorge effettivamente spontanea ed è stata ipotizzata sin dalla prima edizione del primo horos rinvenuto sulla sommità del rilievo da parte di Eliot. [128] Tuttavia, la problematicità insita in tale interpretazione risiede nel dover così presumere che gli abitanti dell’area circostante Capo Zoster si identificassero a loro volta come Zosterioi; ora, è noto che la penisola in questione, così come il celebre santuario di Apollo ivi collocato, erano compresi nel territorio appartenente al demo di Halai Aixonides, e la sola denominazione attestata per i residenti nella zona risulta essere il demotico (Ἁλαιεῖς). [129] Constatato ciò, Langdon ha tentato di comprovare la sua teoria considerando la possibilità che in epoca adrianea l’appellativo mutuato dal promontorio e dall’epiteto delle divinità ivi venerate avesse preso il sopravvento sull’uso del demotico; in effetti, nel II e III secolo d.C. il sistema clistenico attraversò un tangibile indebolimento, e il declino dei demi attici—molti dei quali si eclissarono completamente—è altresì ravvisabile nell’assenza dei demotici in un cospicuo numero di liste pritaniche ed efebiche. [130] In simili circostanze, gli abitanti del demo potrebbero aver cominciato a fare riferimento a sé stessi come Zosterioi. [131] In ogni caso, ammettendo questa ipotesi, si deve supporre per la seconda abbreviazione degli horoi di Lathouriza un significato di pari rilievo; non trovandosi nell’area in questione demotici o toponimi il cui nome inizi con ΒΑ, [132] la datazione delle iscrizioni indurrebbe a sciogliere la sigla con riferimento ad un imperatore: quindi βασιλικῆς/οῦ si riferirebbe ad un terreno o una proprietà imperiale, situata in posizione limitrofa alla “zona dei Zosteri.” [133] Una proposta di lettura alternativa è stata offerta da Lauter, il quale, mantenendo invariata la connessione di ΖΩ con Zoster, ha prospettato invece di riconoscere in ΒΑ l’abbreviazione di βόρειος-ἀνατολικός, intendendo con ciò che gli horoi definissero il “confine nord-orientale di Zoster”, come dimostrerebbe anche il fatto che tale punto cardinale coincide perfettamente con la posizione delle iscrizioni di Lathouriza in relazione all’area di Zoster. [134] In modo analogo al precedente commentatore, rilevando le profonde trasformazioni cui incorse la morfologia insediativa della chora attica nel quadro della generale decadenza dei demi a partire dai primi due secoli della nostra era, quando taluni di essi scomparvero e nacquero nuovi villaggi, Lauter ha ipotizzato che i confini nord-orientali del recenziore borgo di Zoster corrispondessero esattamente agli originari limiti orientali del più antico demo di Halai Aixonides. Lo studioso è poi giunto ad immaginare, seppur in maniera del tutto ipotetica, che da tali premesse risulti, per questo demo, un andamento del confine esteso per più di tre chilometri e mezzo a partire dal Kaminia—dove sono stati individuati gli horoi rupestri trattati in precedenza—in direzione settentrionale, fino a comprendere il Lathouriza con le iscrizioni ΖΩ-ΒΑ.
Si ritiene opportuno a questo punto riferire un’osservazione espressa recentemente da Lohmann in relazione alle ultime due serie di horoi rupestri trattate, le iscrizioni ΟΡSΠΜ di Thiti e le ΖΩ|>ΟΡΟ<|ΒΑ di Lathouriza, considerazione che appare in definitiva del tutto ragionevole e che potrebbe dirimere definitivamente la dibattuta questione del significato di tali serie di iscrizioni. Secondo lo studioso si tratterebbe in entrambi i casi di graffiti moderni, o in ogni caso notevolmente tardi, come si può evincere dalla paleografia e dal tipo di segni divisori ed aggiuntivi impiegati (cfr. sopra). Quanto al dibattuto significato delle abbreviazioni, secondo Lohmann gli horoi ΟΡSΠΜ si riferirebbero alla chiesa nota come Panagia Thiti, situata nella parte occidentale della medesima altura ove si collocano le iscrizioni rupestri, la quale è dedicata in effetti alla “Panagia Mesosporitissa” (“Madonna della stagione della semina”). Lo studioso ritiene poi che gli horoi ΖΩ|>ΟΡΟ<|ΒΑ siano stati posti a demarcare il confine tra la zona di capo Zoster, attualmente noto come “akri Zostira”, e la località di Vari (Βάρη); all’idea si adatterebbe perfettamente la posizione delle epigrafi a Lathouriza, altura che si colloca proprio tra Zostira (ad ovest) e Vari (ad est). [135]

vii. Spitharopoussi

Nel 1978 Langdon rendeva noto il rinvenimento di un’iscrizione rupestre del tipo ΟΡΟϹ incisa su una superficie rocciosa orizzontale alle pendici nord-occidentali della “collina 207”, nei pressi della chiesa di Hagia Triada, situata a nord-ovest del Monte Michel nell’area della valle di Agrileza – Lavreotiki – (figg. 15-16). [136] Un secondo horos è stato individuato ancora da Langdon nel 1992 ad una distanza di ca. 400 m a nord del precedente, nelle vicinanze del villaggio abbandonato di Souriza. La serie si è infine arricchita di due ulteriori esemplari nel 1994, trovati dal medesimo studioso a sud del documento rintracciato nel 1978 (fig. 12). [137] Diversamente dai casi già discussi, nei quali le iscrizioni si trovano di norma incise in diversi punti allineati lungo il crinale di rilievi e colline, seguendone approssimativamente l’andamento, gli horoi qui trattati sono iscritti in posizione meno elevata, nelle vicinanze della strada che passa nelle adiacenze e ai piedi della cresta principale. Il confine così segnalato arriva a coprire una distanza di circa 1200 m. da nord a sud, potendosi altresì supporre l’originaria presenza di ulteriori horoi appartenenti alla serie non (ancora) individuati. [138] Delle quattro iscrizioni a noi note, che condividono il medesimo orientamento, la più settentrionale risulta leggibile da sud a nord, quindi dal lato occidentale, dove si colloca il demo di Sounion, mentre le rimanenti tre si leggono da nord a sud, e sono perciò rivolte verso la vallata di Megala Pefka, il luogo in cui si riconosce con una certa verosimiglianza il sito del demo di Amphitrope (fig. 16). [139] Al momento della scoperta del primo horos della serie, Langdon proponeva una datazione in epoca romana, senza tuttavia fornire alcuna spiegazione e apponendo a fianco della cronologia suggerita un punto interrogativo. [140] Lohmann ha tuttavia sottolineato che per forma e dimensioni le iscrizioni lungo lo Spitharopoussi risultano del tutto conformi ai “vicini” horoi di Megalo Baphi, per i quali, come si è osservato, si è suggerita una datazione nel IV secolo a.C. [141]

viii. Merenda

Al n. 5 della Table of Attic Rupestral Deme Horoi del suo Demos and Trittys, Traill riportava l’esistenza di due iscrizioni del tipo ΟΡΟϹ incise nella roccia ad una distanza reciproca di 30 m in un luogo sito ad est del Monte Merenda, nell’Attica centro-orientale (figg. 13 a-b e 15). [142] Più precisamente, sembra che gli horoi siano da localizzare tra l’estremità orientale del monte, a sud-est della moderna località di Merenda, e il Monte Charvati, nonché immediatamente ad est di un colle dal profilo aguzzo contrassegnato da un asterisco nel foglio XI delle Karten von Attika. Poiché le iscrizioni si leggono in un caso da ovest ad est e nel secondo da sud a nord, pare che il messaggio da esse veicolato fosse indirizzato agli abitanti della valle situata ad est, la quale conduce alla costa in direzione di Porto Raphti. A ragione Traill affermava in tale contesto che l’ubicazione di una simile linea confinaria è verosimilmente da ricondurre al demo di Myrrhinous, localizzato a Merenda. [143] Gli horoi sarebbero stati dunque disposti sul terreno dai membri di Myrrhinous affinché venissero letti dalla popolazione di un demo collocato a Porto Raphti, e dunque dai demoti di Steiria o di Prasiai; data la posizione degli horoi rupestri in questione, si può concludere che il confine da essi evidenziato fosse quello tra Myrrhinous e Prasiai. [144] A parere di Traill, inoltre, sarebbe rintracciabile un parallelo tra la posizione occupata dagli horoi di Merenda e il luogo in cui furono incise le iscrizioni appartenenti alla serie ΟΡSΠΜ a Thiti, in quanto in entrambi i casi le demarcazioni sembrerebbero trovarsi nell’ideale punto di passaggio dalla pianeggiante zona della Mesogaia all’area costiera, caratterizzata da una maggiore asprezza del paesaggio e dalla presenza di rilievi collinari.

ix. Reuma Ari

Pare opportuno menzionare brevemente una coppia di horoi rinvenuti nel 1979 da un gruppo di studenti dell’American School of Classical Studies at Athens presso la gola di Ari, nella zona di Anavyssos (fig. 16), ed inseriti nella tabella di Traill al n. 7 tra gli “Other Possible Horoi.” [145] Il fattore che determina un certo indugio nell’includere le due iscrizioni nella presente trattazione è l’ “agevole” possibilità di spostamento che distingue queste ultime dal resto della documentazione, costituita invece esclusivamente da epigrafi rupestri: infatti, il primo ΟΡΟϹ era iscritto su un blocco di pietra di notevoli dimensioni, posto sul lato occidentale di Ari e ad est della vetta del Monte Olympos, mentre il secondo trovava spazio su un blocco di minore grandezza, sito circa 200 m ad est del primo. Proprio la potenziale mobilità caratterizzante almeno la pietra di dimensioni più limitate ha indotto Stanton, probabilmente a ragione, a non comprendere tali testimonianze tra gli horoi rupestri di confine demico. [146]

x. Kiteza

Per completezza, si cita un ulteriore caso dubbio di documentazione rupestre, che risulta tanto più discutibile in quanto si tratta di un horos singolo (ΟΡΟϹ). Esso si trovava iscritto su un grande masso di pietra non lavorata che fu rinvenuto da Petrou-Anagna “accanto all’incrocio della strada carrozzabile che conduce all’estensione rurale di Kiteza (o Tsitsainas) e ad una distanza di 6–7 m dalla strada pubblica.” [147] Tale descrizione del luogo di ritrovamento ha indotto Traill a suggerire, seppure in maniera del tutto ipotetica, che l’eventuale confine qui tracciato potesse riguardare i demi di Aigilia e di Thorai. [148]

xi. Skasmeni Petra

La presenza di un horos inciso su una sporgenza sud-orientale del rilievo di Skasmeni Petra è annotata nel foglio XVII delle KVA, contrassegnata dalla didascalia in rosso “antiker Grenzstein”. Tuttavia, in seguito a reiterate ricerche condotte in un momento successivo alla compilazione dell’opera cartografica, non è stato possibile localizzare nuovamente l’iscrizione menzionata, della quale non sembra essere più traccia. Un’ulteriore incertezza è determinata dal fatto che la dicitura “antica pietra di confine” non chiarisce quale fosse la tipologia del documento epigrafico; non è possibile quindi stabilire se l’horos individuato da Curtius e Kaupert fosse effettivamente rupestre o se si trovasse piuttosto iscritto su un blocco di pietra. [149] In ogni caso, in base alla localizzazione dell’epigrafe tramandataci, trovandosi Skasmeni Petra al margine orientale della piana di Anavyssos, si potrebbe eventualmente connettere ad essa la delimitazione del demo di Anaphlystos, e in particolare del suo confine orientale (fig. 16). [150]

xii. Kokkinarás

Si riporta infine un ulteriore caso di rinvenimento di un singolo horos, il quale, diversamente dagli esemplari di Kiteza e Skasmeni Petra—che costituiscono casi troppo dubbi per poter essere tenuti in considerazione in tal senso—, sembra invece potersi includere tra le testimonianze utili ad incrementare la documentazione riguardante la teoria della delimitazione dei demi attici per mezzo di horoi rupestri. Ci troviamo in questo caso nella zona centro-settentrionale della regione, e più precisamente alle pendici sud-occidentali del Monte Pentelico (fig. 15), ove si colloca la località di Kokkinarás. In questo luogo, indagini archeologiche relativamente recenti hanno condotto all’individuazione del sito di un insediamento di epoca classica, le cui tracce si identificano verosimilmente con i resti di Trinemeia, un demo appartenente alla trittia interna della tribù Cecropide. [151] All’estremità sud-occidentale dell’area è stata rinvenuta un’epigrafe rupestre del tipo ΟΡΟϹ, la quale secondo Goette apparterrebbe ad una serie composta da un maggiore numero di esemplari, potenzialmente ancora da scoprire, che marcava probabilmente il confine tra territorio di Trinemeia e quello del demo di Athmonon. [152]
Si presenta ora un breve riepilogo di quanto esposto in relazione alle varie serie di horoi rupestri prese in considerazione.
La compresenza ad Alepovouni di diverse serie di iscrizioni confinarie di vario tipo, riferibili a delimitazioni differenti, e che furono realizzate nel corso di un lungo periodo—verosimilmente dal IV secolo a.C. sino all’epoca romana imperiale—determina una situazione particolarmente complessa. In ogni caso, la conclusione più plausibile è che qui si abbia a che fare con delimitazioni relative a proprietà private.
I peculiari casi degli horoi ΟΡSΠΜ a Thiti e di quelli ΖΩ|>ΟΡΟ<|ΒΑ a Lathouriza presentano non minori difficoltà interpretative. Su di essi sono stati versati fiumi di inchiostro da parte di studiosi di altissimo profilo scientifico, senza che si sia potuto soddisfacentemente inquadrare il loro significato in quanto documenti relativi alla delimitazione di territori o di proprietà nell’antichità. Come si è osservato, l’ipotesi più convincente appare a chi scrive quella recentemente proposta da Lohmann, secondo il quale si tratterebbe in entrambi i casi di iscrizioni realizzate in epoca post antica o moderna; esse si riferirebbero nel primo caso alla chiesa cristiana dedicata alla Panagia Mesosporitissa e situata sulla collina di Thiti, mentre nel secondo caso i graffiti indicherebbero i confini tra le moderne località di Akri Zostira e di Vari.
Non sono in grado di offrire alcun dato significativo in relazione alla questione dei confini demici, in quanto iscrizioni potenzialmente “mobili”, la coppia di horoi iscritti su due blocchi di pietra rinvenuti presso Reuma Ari, e l’horos da Kiteza, anch’esso non rupestre e per di più singolo, nonché l’alquanto oscuro “antiker Grenzstein” di Skasmeni Petra registrato dalle Karten von Attika e mai più rintracciato in seguito.
Sono dunque sei le serie di horoi rupestri attici che, come si è visto, condividono determinati “requisiti” che le rendono interpretabili come iscrizioni di confine tra demi: si tratta degli horoi di Sagani, posti verosimilmente ad evidenziare i limiti tra Halai Araphenides e Konthyle o Myrrhinoutta; gli horoi di Kaminia, che delimitavano i territori di Anagyrous e Halai Aixonides; gli horoi di Megalo Baphi, indicanti la linea di confine tra Atene e Amphitrope; gli horoi di Spitharopoussi, che demarcavano il limite tra Amphitrope e Sounion; gli horoi di Merenda, che separavano il territorio di Myrrhinous da quello di Prasiai; e infine l’horos di Kokkinarás, che probabilmente segnava il confine tra Trinemeia e Athmonon. In tutti questi casi, la condivisione da parte degli horoi appartenenti alla medesima serie di caratteri comuni quali dimensioni e forma delle lettere, la disposizione a distanza regolare l’uno dall’altro, tale da formare ben precise linee sul terreno—talvolta estese su distanze decisamente considerevoli—, nonché la collocazione lungo creste collinari situate esattamente là dove sono ipotizzabili le linee di confine tra i territori di determinati demi, costituiscono peculiarità che nel complesso non consentono di interpretare tali iscrizioni come segni di demarcazione di proprietà private, ma risultano riferibili a delimitazioni di carattere pubblico, e più precisamente, a confini tra demi limitrofi.

Bibliografia

Di seguito sono riportate le pubblicazioni citate almeno due volte. Le citazioni singole appaiono per esteso nelle note a piè di pagina.
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Immagini

Bultrighini Fig.1
1) Horos rupestre sulla collina di Lathouriza (Vari)
(foto: Hans R. Goette)
Bultrighini Fig.2
2) Horos rupestre di delimitazione di un santuario sulla collina di Panagia Thiti
(foto: Hans R. Goette)
Bultrighini Fig.3
3) Horos rupestre sulla collina di Panagia Thiti
(da Traill 1982. Per gentile concessione dell’American School of Classical Studies at Athens)
Bultrighini Fig.4
4) Horos rupestre con sigma lunato sulla collina di Alepovuni
(da Langdon 1999. Per gentile concessione dell’American School of Classical Studies at Athens)
Bultrighini Fig.5
5) Horos rupestre con lettere aggiuntive (omicron e my) ad Alepovuni
(da Langdon 1999. Per gentile concessione dell’American School of Classical Studies at Athens)
Bultrighini Fig.6
6) Horos rupestre con lettere aggiuntive (zeta e omicron) ad Alepovuni
(da Langdon 1999. Per gentile concessione dell’American School of Classical Studies at Athens)
Bultrighini Fig.7
7) Horos rupestre dalla collina di Sagani
(foto: Hans R. Goette)
Bultrighini Fig.8
8) Horos rupestre sul Kaminia
(foto: Hans R. Goette)
Bultrighini Fig.9
9) Horos rupestre con segni “> <” sul Kaminia
(foto: Hans R. Goette)
Bultrighini Fig.10
10) Apografo dell’iscrizione rupestre di Sotimides sul Kaminia
(disegno: Hans R. Goette, Neue attische Felsinschriften, «Klio» 76, 1994, 120-134)
Bultrighini Fig.11a
Bultrighini Fig.11b
Bultrighini Fig.11c
Bultrighini Fig.11d
Bultrighini Fig.11e
Bultrighini Fig.11f
Bultrighini Fig.11g
11) Horoi rupestri sul Megalo Baphi
(foto: Hans Lohmann)
Bultrighini Fig.12a
Bultrighini Fig.12b
Bultrighini Fig.12c
Bultrighini Fig.12d
12) Horoi rupestri sullo Spitharopoussi
(foto: Hans Lohmann)
Bultrighini Fig.13a
Bultrighini Fig.13b
13) Horoi rupestri sul monte Merenda
(foto: Hans R. Goette)
Bultrighini Fig.14
14) Pianta dell’area di Lamptrai Inferiore e Superiore, con indicazione della posizione degli horoi rupestri sulla collina di Panagia Thiti
(da Traill 1982. Per gentile concessione dell’American School of Classical Studies at Athens)
Bultrighini Fig.15
15) Pianta dell’Attica con indicazione delle varie serie di horoi rupestri
(da Stanton 1996)
Bultrighini Fig.16
16) Pianta dell’Attica meridionale con indicazione delle linee di confine sulle quali si disporrebbero gli horoi lungo la cresta del Megalo Baphi e dello Spitharopoussi
(da Lohmann 1993)

Footnotes

[ back ] 1. L’opinione è stata inizialmente sostenuta da Haussoullier 1884, 2 (con riferimento ai demi cittadini), e sviluppata poi da Eliot 1962; Traill 1975:73–74; Id. 1986:116–122; Siewert 1982:85 e passim; Langdon 1985:5–15; Lohmann 1993:57–79; Jones 1999:56ss.
[ back ] 2. W. E. Thompson, “The Deme in Kleisthenes’ Reform.” SO 46. 1971:72–79. Altri sostenitori del “modello amministrativo“ sono A. Andrewes, “Kleisthenes’ reform bill.” CQ 27,1977:241–248; Stanton 1984:306; Whitehead 1986:27–30, S. D. Lambert, The Phratries of Attica, Ann Arbor 1993:7–8 e n. 24.
[ back ] 3. D. M. Lewis, Gnomon, 35 1963:724.
[ back ] 4. Apud Str. I 4.7.
[ back ] 5. Kollythos e Melite appartenevano, rispettivamente, alla trittys cittadina della tribù Aigeide e a quella della tribù Cecropide, cfr. Traill 1986:126 e 134. Nonostante l’innegabile diversità tra lo status dei demi cittadini e dei demi rurali, G. V. Lalonde (IG I³ “1055 B and the boundary of Melite and Kollytos” Hesperia 75 2006:99–100) ha proposto che anche le comunità demiche urbane avessero dimensioni e limiti precisi, in analogia con quanto si può ipotizzare per i demi rurali: le linee di confine tra i demi situati entro le mura di Atene sarebbero state a suo avviso determinate dalle vie della città, accanto a specifici punti di riferimento all’interno dell’asty, come le mura, l’agora o l’acropoli. Cfr. Langdon 1985:12–13; Id. 1991:13–14, 29; L. Ficuciello, Le strade di Atene, Atene-Paestum 2008, 117-119.
[ back ] 6. IG II² 2623.
[ back ] 7. Jones 1999:59 offre una differente lettura dell’epigrafe, basata sull’esame del calco presente nell’archivio dell’Institute for Advanced Study di Princeton: ὅρος Π[ει]|ραέων|γας, “pietra di confine della terra dei demoti di Peiraeus”. A parere di Jones, la nuova integrazione eliminerebbe il problema posto dall’uso imprevisto del termine chora, comunemente utilizzato in opposizione ad asty, con il significato di “campagna”. Tale lettura è stata rifiutata da S. D. Lambert, 2004. “A House of the Piraeans?” ZPE 146:91–92, il quale ha correttamente osservato che nella prosa delle iscrizioni attiche γᾶ non ha paralleli, essendo utilizzata costantemente la forma γῆ. Egli ha inoltre sottolineato la non pertinenza del termine (come d’altra parte anche la mancata attinenza di [χώρ]ας) nel contesto degli horoi attici. In seguito all’esame della pietra al Museo Epigrafico di Atene, Lambert ha proposto il seguente testo: ὅρος Π̣|ε̣ιραέων|[. up to 3–4.]ΑΣ[.]|[- – – -?], e ha integrato, non senza incertezza, ὅρος Π̣|ε̣ιραέων|[οἰκί]ας v or ⟦v⟧, escludendo in tal modo l’iscrizione dall’ambito dei confini di terreni dei demi. Cfr. Papazarkadas 2011:156–157, il quale, in virtù dei paralleli presentati da Lambert, propende per la lettura di quest’ultimo.
[ back ] 8. Whitehead 1986:28–30.
[ back ] 9. A ragione Langdon 1985:6–7, sottolinea che dove non vi fossero comunità costituitesi in precedenza, ma soltanto popolazione sparsa, non dovette sussistere alcun problema per Clistene nel tracciare i confini di demi creati ex novo.
[ back ] 10. Elementi naturali e “artificiali” sono abitualmente nominati nelle iscrizioni di confine interstatale, cfr. nota 14 e IG IV² 1, 71, 11. 10–31.
[ back ] 11. Ossia i cosiddetti menhir, definiti βόλεοι nelle iscrizioni (IG IV² 1, 75, 1. 33; MDAIA 59, 1934:48, l. 16) e nelle fonti (Paus. II 36, 3). Sono altresì attestati “pali” in pietra utilizzati allo stesso scopo, gli σπόλοι (IG IX 2, 205).
[ back ] 12. Sugli horistai: RE VIII 2408 s.v. ὁρισταί; G. Busolt-H. Swoboda, Griechische Staatskunde, München 1920–1926:492n5, 497n6; RE Suppl. X, 1965:326 s.v. ὁρισταί.
[ back ] 13. IG II² 1177. Gli horistai compaiono al plurale e sono incaricati, unitamente al demarco, di occuparsi dell’iscrizione del testo del decreto su una stele e della sistemazione della stessa. La deliberazione concerne peraltro una serie di disposizioni riguardanti il Thesmophorion del demo e non sembra quindi mostrare una relazione immediata con questioni di tipo confinario.
[ back ] 14. IG V 1, 1429–1431, su cui vd. soprattutto J. Martha, “Inscriptions de Messène.” BCH 5,1881:149–156; W. Kolbe, “Die Grenzen Messeniens in der ersten Kaiserzeit.” MDAIA 29, 1904:364–378; S. L. Ager, Interstate Arbitrations in the Greek World, 337-90 BC, Berkeley-Los Angeles-London 1996:n40. IG IX 2, 205. Cfr. inoltre IG IV² 1, 71, 11. 10–31 (Corinto-Epidauro); IG IV² 1, 75, 11. 10–19 (Ermione-Epidauro); IG IV² 1, 76, 11. 17–27 (Troizen-Arsinoe).
[ back ] 15. Cfr. il riferimento agli οἱ ἐγκεκτημένοι, coloro che erano soggetti al pagamento della suddetta tassa in quanto proprietari di terreni situati in demi diversi da quelli di appartenenza, in D. L 8; l’ ἔγκτημα, la proprietà fondiaria di un estraneo al demo in cui essa è collocata, in D. VII 42, etc.; l’ ἔγκτησις, l’acquisto o possesso di beni fondiari in uno Stato o distretto da parte di qualcuno non appartenente ad esso, in X. HG V 2, 19, etc.
[ back ] 16. IG II² 1214 (ca. 300–250 a.C.).
[ back ] 17. Haussoullier 1884:78–79, considerava l’ἐγκτητικόν la maggiore fonte d’introito dei demi, accanto ai prestiti in denaro. Cfr. Langdon 1985:8. Whitehead 1986:76n38, 150 e Jones 1999:64–65, pongono invece l’accento sul fatto che una menzione diretta della tassa in questione si conserva unicamente nel suddetto decreto di Peiraieus, constatazione che induce i due studiosi a ritenere che l’ἐγκτητικόν fosse in realtà una contribuzione peculiare di quel demo. Jones si spinge poi oltre, ponendo in connessione l’unicità di Peiraeus per quanto concerne l’attestazione tanto dell’ἐγκτητικόν, quanto del succitato cippo (IG II² 2623), e concludendo da tale situazione documentaria che l’horos (posto verosimilmente a formare una serie accanto ad altre stele similari) fu innalzato con il preciso fine di agevolare l’esenzione di un tributo esclusivamente pireico, l’ἐγκτητικόν, dai non-demotai. Un quadro di questo genere si spiegherebbe, secondo Jones, con la particolare condizione caratterizzante il porto di Atene, verso il quale si dirigeva una notevole massa migratoria proveniente dalla polis e dall’intera regione allo scopo di seguire i propri affari. In tale contesto, i demoti di Peiraieus avrebbero abilmente sfruttato questa considerevole fonte di introiti per la comunità e di conseguenza avrebbero avuto motivi ben precisi per sottolineare con horoi i propri confini. Tuttavia, prosegue Jones, questo non sarebbe stato possibile se Peiraieus, e quindi la totalità dei demi, non fossero già stati delimitati da confini esatti. Si concorda con questa ultima affermazione di Jones, ma non con l’idea della peculiarità pireica dell’ἐγκτητικόν, che appare invece verosimilmente assimilabile all’ἔγκτησις γῆς καὶ οἰκίας, un’imposta largamente attestata in ambito ateniese, la cui sua esenzione figura abitualmente tra i conferimenti di privilegi ed onori in favore di non-politai.
[ back ] 18. G. V. Lalonde, Horos Dios: An Athenian Shrine and Cult of Zeus, Leiden-Boston 2006:96–97. Lalonde richiama inoltre la testimonianza dell’obbligo, cui erano tenuti a sottostare i demarchi, di seppellire i propri defunti—nel caso in cui non se ne fossero occupati i parenti—all’interno dei confini dei demi di pertinenza. La notizia è attinta da Demostene (XLIII 57–58), il quale, tuttavia, in realtà non specifica in quale luogo dovesse avvenire la sepoltura, limitandosi a riferire che i demarchi dovevano provvedere alle esequie di coloro che fossero morti “ἐν τοῖς δήμοις.”
[ back ] 19. Per la formula οἰκῶν ἐν, vd. e.g. IG I³ 475-476; IG II² 1553–1578, 1654, 1672–1673, 1951. Cfr. inoltre M. Niku, The Official Status of the Foreign Residents in Athens 322-120 B.C., Helsinki 2007:22–23. Per il μετοίκιον, vd. IG I³ 106, ll. 6–7; 107, l. 3; IG II² 61, ll. 10–11; 211, l. 5; 237, ll. 25–26; 545, ll. 11–13.
[ back ] 20. Sull’eisphora, D. XXII 61. Vd. J. K. Davies, Wealth and the Power of Wealth in Classical Athens, New York 1981:143–150. Sull’importanza dell’eisphora nel contesto della documentazione a favore dell’esistenza di confini contrassegnati dagli horoi rupestri tra i demi, Papazarkadas 2011:158.
[ back ] 21. Nell’ambito di tale specifica tipologia documentaria, è interessante il caso dei rendiconti di confisca e vendita dei beni dei Trenta Tiranni (402/1 a.C.), conservati frammentariamente in diverse stele che costituivano presumibilmente in origine un unico monumento posizionato nell’agora. Nell’edizione di M. B. Walbank del frammento f della stele IV (“The Property of the Thirty Tyrants.” Hesperia 51, 1982:85–88), si fa menzione di una proprietà situata [ἐ]|πὶ τῆι <ὁ>ρία̣ι. Poiché la registrazione di tale possedimento per la messa in vendita fu effettuata da un certo Platon di Aphidna, il quale si identifica verosimilmente con il demarco di tale demo, sembra potersi concludere che il terreno in questione fosse collocato sul confine di Aphidna. La presenza di un simile riferimento in un atto ufficiale, impiegato per la descrizione e la registrazione di una proprietà, pare indicare con una certa eloquenza l’esistenza di confini definiti tra i demi attici.
[ back ] 22. Cfr. Langdon 1985:8: “Land is so habitually referred to by deme locations in Attic inscriptions that we are compelled to conclude that the demes were defined by boundaries, else the demotic designations would be meaningless and open to disputes”. Analogamente, Traill 1975:73n6; Siewert 1982:85; Lohmann 1994:287; Jones 1999:64; Papazarkadas 2011:159. Contra, E. E. Cohen, The Athenian Nation, Princeton 2000:120–121: “There were no exact boundaries separating the demes”, senza tuttavia apportare ulteriori chiarimenti.
[ back ] 23. Come ha osservato Papazarkadas 2011:159.
[ back ] 24. Vd. e.g. Aeschin. I 97; D. XLII 5; Alciphr. II 32, 2. Sulle eschatiai attiche, vd. soprattutto M.H. Jameson, Attic Eschatia, in K. Ascani – V. Gabrielsen – K. Kvist – A.H. Rasmussen (eds.), Ancient History Matters: Studies Presented to Jens Erik Skydsgaard on His Seventieth Birthday, April 16, 2002, Analecta Romana Instituti Danici, Suppl. 30, Rome 2002:63–68; Krasilnikoff 2008.
[ back ] 25. Papazarkadas 2011:159–160 con n284.
[ back ] 26. Haussoullier 1884:2:n3.
[ back ] 27. Commento a FGrH 375.
[ back ] 28. Ibid., 334 F 17.
[ back ] 29. Come puntualizza Lohmann 1994:285–286, il frammento di Istro consiste nella descrizione di un confine demico, tracciato tramite la precisa enumerazione di segni immutabili sul terreno. La pratica è attestata dall’antichità fino al Medioevo e corrisponde pienamente a quanto si può leggere in numerose iscrizioni di confine interstatale, come le succitate epigrafi messeniche.
[ back ] 30. Langdon 1985:13. A tale argomento si connette, offrendo ulteriore supporto, l’esistenza di un catasto demico, che è stata sostenuta in maniera convincente da M. Faraguna, “Registrazioni catastali nel mondo greco: il caso di Atene.” Athenaeum 85, 1997:1–33. Vd. anche Id., “A proposito degli archivi nel mondo greco: terra e registrazioni fondiarie.” Chiron 30, 2000:65–115, e Papazarkadas 2011:160–161.
[ back ] 31. Eliot 1962:42, 131–135; Lauter-Bufe 1979:161ss., fig. 2–3.
[ back ] 32. Gli altri due horoi sono stati rinvenuti nel 1975 da Vanderpool e Watrous e pubblicati da Langdon 1988a:75ss.
[ back ] 33. Eliot 1962:41–42n21.
[ back ] 34. Ibid., 56–58; SEG XLV 17. La presenza del segno di aspirazione riconduce l’iscrizione ad età arcaica o agli inizi dell’epoca classica.
[ back ] 35. Sul santuario presso Panagia Thiti, Eliot 1962:56–58; F. Willemsen, “Ostraka.” MDAIA 80, 1965:120–126; Lauter 1991:92–93, 106–107, tav. 9 e 25c; Goette 1995. Ritiene non sussistano prove dell’esistenza di un santuario nel sito in questione Krasilnikoff 2010:61. In linea con il suo studio sulle terre marginali in Attica, egli inserisce anche il sito nella categoria dei “terreni produttivi” marginali (eschatiai, nella sua ottica), i cui confini sarebbero stati segnalati a suo avviso dalle iscrizioni rupestri ΗΟ. Lo studioso—che tra l’altro appare impreciso nella localizzazione della collina di Thiti (“….a sanctuary at Varkiza.”, ibid.)—oltre a non attribuire il dovuto valore all’attestazione fornita dal frammento di capitello dorico trovato alle pendici della collina (cfr. Willemsen, cit.), evidentemente non è a conoscenza del rinvenimento presso la chiesa della Panagia a Thiti di numerosi frammenti di “Stempelidole”, una particolare tipologia di figurine fittili che costituivano votivi tipici di una serie di luoghi di culto attici associati prevalentemente a divinità femminili e databili nella prima metà del VII secolo a.C. Vd. a tale proposito M. Küpper, “Frühattische „Stempelidole“ von Kiapha Thiti.” in H. Lauter (hrsg.), Kiapha Thiti. Ergebnisse der Ausgrabung. III 2, Eisenzeit, Marburger Winckelmann Programm 1989:20.
[ back ] 36. Eliot 1962:63–64; SEG XXXII 228, XLV 162. La scoperta delle iscrizioni è avvenuta tra il 1958 ed il 1961 ad opera di Mitsos e Vanderpool; nella sua pubblicazione, Eliot ammette (ibid., 63n1) di non aver visionato direttamente le epigrafi e di essersi basato unicamente su alcune lettere ricevute dallo stesso Vanderpool.
[ back ] 37. Opportunamente definita da Eliot 1962:63 “a symbol”.
[ back ] 38. Traill 1986:116–122.
[ back ] 39. Ibid., 117:n4, 9, 12.
[ back ] 40. E.g. IG II² 2520, IG II² 2519, 2521, 2523, 2524, 2525.
[ back ] 41. Ad esempio l’iscrizione scoperta da Langdon (1978:109n3 fig. 5) presso la cosiddetta Golden Pig Tower o gli horoi di Thorikos: J. Bingen, Thorikos V, Bruxelles 1968:151 ss.
[ back ] 42. Vd. IG I³ 1087–1116; G. V. Lalonde, Horoi, in Id., – M. K. Langdon – M. B. Walbank, The Athenian Agora vol. XIX. Inscriptions: Horoi, Poletai Records, Leases of Public Lands, Princeton 1991:10–14.
[ back ] 43. Cfr. infra la serie “ΖΩ-ΒΑ” a Lathuresa, la serie “ΟΡ-ΠΜ” a Porto Lombardo, la serie presso Alepovuni con lettere aggiuntive al di sopra e al di sotto della parola ΟΡΟϹ.
[ back ] 44. Langdon (1985:9–10; 1999:494), Stanton (The Rural Demes and Athenian Politics, in Coulson-Palagia 1994:222; e Id. 1996:353–355), Lohmann (1994:282–290), M. Salliora-Oikonomakou, “Ἐπιγραφὲς ἀπὸ τὴν Λαυρεωτικὴ.” AEph 2001 (2003):161–163).
[ back ] 45. Traill 1986:118; Id. 1982:168.
[ back ] 46. Stanton 1984:304–305; Id. 1996:355, 363–364. Similmente, C. Taylor (Migration and the demes of Attica, in C. Holleran-A. Pudsey (eds.), Demography and the Graeco-Roman World, Cambridge–New York 2011:133–134) ritiene che gli horoi possano essere visti come una risposta delle comunità demiche alla pressione esercitata dai membri dei demi limitrofi sulle proprie risorse, ammettendo inoltre che possa essersi trattato di una reazione non “ufficiale”, messa in atto autonomamente dalle popolazioni locali. Cfr. S. C. Humphreys, Attika and Kleisthenes, in A. Matthaiou – I. Polinskaya (ἐπιμ.), Μικρός Ιερομνήμων: μελέτες εις μνήμην Michael H. Jameson, Athenai 2008, 17, la quale si ricollega alla teoria di Stanton, ipotizzando che la delimitazione tramite gli horoi rupestri sia da collocare nel IV secolo a.C., quando un’iscrizione relativa al demo di Aixone (IG II² 1196) attesta la riscossione di imposte connesse al pascolo.
[ back ] 47. Papazarkadas 2011:157 n274, osserva che molti horoi “anonimi” conservati in vari depositi di materiale archeologico nel territorio attico e dei quali non si hanno notizie circa il luogo di provenienza potrebbero aver originariamente contrassegnato confini demici. La probabilità suggerita da Papazarkadas potrebbe essere rafforzata dal quadro di insieme qui proposto.
[ back ] 48. J. Ober, “Rock-cut inscriptions from Mount Hymettos.” Hesperia 50, 1981:73–77, tav. 28 b–e. Delle quattro epigrafi originarie se ne conservano attualmente tre; successivamente alla sua pubblicazione, la quarta è stata distrutta dalla moderna attività edilizia.
[ back ] 49. L’idea che gli horoi marcassero il confine di un’area dedita all’apicoltura è stata ripresa ed accettata in seguito da Goette 2001:157.
[ back ] 50. Lauter 1982:314; Stanton 1984:301–303 e Id. 1996:362, con l’ipotesi che le iscrizioni di confine si rivolgessero ai membri del demo posizionato a Kareas, o ai demoti di Agryle o Alopeke; Traill 1986:117 e 119, con riferimento ai demi di Potamos Inferiore e Superiore.
[ back ] 51. Traill 1986:119; Lohmann 1993:57–58. Diversamente, Langdon 1999:493, 498–499, ritiene opportuna l’iniziale proposta di datazione ad epoca romana offerta da Ober, e rifiuta l’interpretazione degli horoi come segnali di un confine demico. Sostenendo la teoria secondo cui i confini tra i demi avrebbero seguito le caratteristiche del paesaggio (Id. 1985) ed osservando che gli horoi in questione sono disposti in modo da formare almeno un angolo retto, Langdon propone che le iscrizioni con sigma lunato di Alepovuni siano da connettere ad una proprietà statale, di cui si fa menzione in IG II² 1035, un decreto frammentario di età augustea che prescrive la restituzione di santuari e proprietà statali che erano finite nelle mani di privati. Tra di esse compaiono infatti taluni δημόσια ὄρη (l. 20), uno dei quali è un ὄρος τὸ πρὸς Ὑμηττῶι (l. 58) che potrebbe identificarsi con Alepovuni. La linea 59 dell’iscrizione sancisce che su tale altura è consentito: [- – – – ἅ]πασιν νέμειν κ[αὶ ὑ]λάζεσθαι, particolare che rivelerebbe le tipologie di attività che venivano condotte sulla collina, ossia il pascolo e la raccolta di legname. Su IG II² 1035, vd. I. Bultrighini, “Dorykleion, Dorykleioi e Dorieis.” RCCM LIII/1, 2011:99–106, soprattutto 99–101, con riferimenti bibliografici e le varie proposte di datazione a 99–100n1 e 100–101n4.
[ back ] 52. M. K. Langdon, “Hymettiana I.” Hesperia 54, 1985:257–260; Stanton 1996:361–362; Langdon 1999:483 ss.
[ back ] 53. Langdon 1999:494–495. Dall’analisi delle caratteristiche del terreno e del contesto archeologico risulterebbe a suo avviso che i terreni ipoteticamente posseduti qui da privati potevano essere sfruttati solamente con la raccolta delle erbe aromatiche che crescevano spontaneamente sulle pendici della collina di Alepovuni. Langdon ha definito i quattro horoi “the earlier series” per la presenza del sigma a quattro tratti, ammettendo tuttavia per gli stessi un possibile spazio temporale esteso tra il 400 e il 100 a.C. Più recentemente, ritiene che gli horoi rupestri di Alepovouni demarcassero proprietà private “marginali”, sfruttate però come terreni da pascolo e per la raccolta di legna, Krasilnikoff 2010:57 ss., sulle cui tesi cfr. anche n35, 93, 119.
[ back ] 54. Stanton 1996:361. Lo studioso ha indicato in particolare come possibilità i demi di Agryle Superiore o Inferiore o un demo situato lievemente più a nord-ovest, come Alopeke.
[ back ] 55. In 1996:361–362, Stanton ha dato una preliminare notizia del rinvenimento, in attesa della pubblicazione di tutte le iscrizioni rupestri di Alepovuni, avvenuta in seguito per mano dello scopritore (Langdon 1999:483ss.).
[ back ] 56. I confronti più stretti sono offerti dagli horoi della serie ΖΩ-ΒΑ a Lathuresa (cf. infra) e dalle iscrizioni rupestri del monte Taygetos che definiscono il confine tra Messenia e Laconia: IG V 1, 1371 a–b; SEG XIII 269.
[ back ] 57. Larfeld 1902:483–501, circoscrive l’uso di tale forma al periodo 30 a.C. – 210 d.C.; vd. anche Guarducci 1967: 381.
[ back ] 58. Larfeld 1902:463–506; Guarducci 1967:377; U. Knigge, “Ausgrabungen im Kerameikos 1970–72”, AA 1974:185 e fig. 11; K. Braun, “Der Dipylon-Brunnen B1.” MDAIA 85, 1970:202–203; H. Taeuber, “Sikyon statt Aigeria. Neue Beobachtungen zur Stele von Stymphalos” (IG V/2,351–357), ZPE 42, 1981:186–187; A. W. Johnston, “A fourth century graffito from the Kerameikos.” MDAIA 100, 1985:296–297n4, con ulteriore bibliografia; Immerwahr 1990:160.
[ back ] 59. Larfeld 1902:481. Le considerazioni riguardanti il sigma a quattro tratti in relazione a tali horoi devono necessariamente basarsi su quanto espresso nell’edizione di Langdon, non essendo disponibile un’immagine fotografica ben leggibile o un apografo delle iscrizioni stesse. Vd. figg. 4-6.
[ back ] 60. In Larfeld 1902:524–533 sono elencati numerosi esempi di abbreviazioni utilizzate nelle iscrizioni attiche di questa epoca. In particolare, cospicue sono le attestazioni di Μ come abbreviazione per Markos; tuttavia, non compaiono testimonianze relative ad Ο e Ζ.
[ back ] 61. In appendice alla sua edizione degli horoi rupestri di Alepovuni (1999:503–505), Langdon ha inserito la notizia del rinvenimento di due ulteriori horoi, avvenuto nel 1993 ad opera di A. Van de Moortel a breve distanza dalla collina di Alepovuni. Essi sono ubicati su una bassa sporgenza situata a nord di Alepovuni e separata da questa per mezzo di un corso d’acqua prosciugato. Il sito è definito da Langdon “Theology Ridge” per via della presenza della Scuola di Teologia dell’Università di Atene nelle immediate vicinanze. Le iscrizioni constano nella parola “horos” con sigma lunato, ma, nonostante le analogie nella paleografia e la relativa contiguità con l’altura, a parere di Langdon esse non sarebbero da connettere con le testimonianze di Alepovuni, ponendosi piuttosto in relazione ai terrazzamenti agricoli messi in evidenza dalla ricerca archeologica presso il “Theology Ridge”.
[ back ] 62. Stanton 1996:360–361; SEG XLVI 223; LI 154.
[ back ] 63. Stanton 1996:360–361. Traill 1986:129, e Travlos 1988:387 fig. 486, propendono per Konthyle.
[ back ] 64. Cfr. SEG LI 154. E’ qui riportata anche la proposta di datazione espressa da Steinhauer (in Doumas 2001:33), il quale ha riferito gli horoi—non senza incertezza—all’età ellenistica.
[ back ] 65. La prima iscrizione è stata nuovamente individuata nel 1980 e pubblicata da Lauter 1982:299–315, fig. 2; SEG XXXII 230. Cfr. Stanton 1984:299-303, 305. Il rinvenimento della seconda e l’edizione di entrambe si devono invece a Langdon 1988:43–54, fig. 2–3; SEG XXXVIII 168. I due horoi erano già stati inseriti da Traill (1986:117) nella sua Table of Attic Rupestral Deme Horoi dove il secondo documento epigrafico è registrato ancora come “unpublished”. In seguito alla pubblicazione della seconda iscrizione, l’argomento è stato ulteriormente ripreso anche da Lauter 1991:63 ss., tav. 35 e 147 ss.
[ back ] 66. Stanton 1996:356–357; SEG XLVI 210.
[ back ] 67. Goette 1994:120–124, fig. 4–5; SEG XLVI 211. Presso l’estremità orientale della cresta è stato messo in luce un santuario, la cui frequentazione si estende dall’VIII secolo a.C. al V d.C. Su questo vd. Eliot 1962:39–41; Lauter 1985; A. Mazarakis-Ainian, in Ε΄ επιστημονική συνάντηση νοτιοανατολικής Αττικής 5.-9. 12. 1991, 1994, 231ss.; Id., “New evidence for the study of the Late Geometric-Archaic settlement at Lathouriza in Attica.” in C. Morris (ed.), Klados. Essays in Honour of J.N. Coldstream. Bulletin of the Institute of Classical Studies, University of London. Suppl. LXIII, 1995:143ss.; Id., From Ruler’s Dwellings to temples. Architecture, Religion and Society in Early iron Age Greece (1100–700 B. C.), Jonsered 1997:116–119, 235–239, 289–290, 292–293.
[ back ] 68. Stanton 1996:356, tav. 54b; SEG XLVI 212.
[ back ] 69. Segni del tutto analoghi compaiono nella serie di horoi rupestri ΖΩ-ΒΑ a Lathouriza (cfr. infra). Goette 1994, 123 leggeva inizialmente il segno posto sulla destra come un sigma lunato, conformato “als ein spitzer Winkel mit zwei Hasten”. Tuttavia, nella fotografia dell’iscrizione fornita da Goette stesso (ibid., fig. 4) è chiaramente visibile anche il segno che precede ΟΡΟ, dall’osservazione del quale si comprende che in entrambi i casi non può trattarsi di una lettera; ed infatti il lapsus è stato in seguito riconosciuto dallo studioso, vd. Schörner – Goette 2004:9n50. L’horos scoperto da Stanton presenta la particolarità di recare uno spazio vuoto molto più ampio tra la rho e la seconda omicron rispetto a quello interposto tra la prima omicron e la rho (cfr. tav. 54b in Stanton 1996).
[ back ] 70. Goette 1994:123; Stanton 1996:357. Per l’incisione delle iscrizioni, si può ipotizzare l’azione simultanea di due diverse mani, come supposto da Schörner – Goette 2004:9. Per una più chiara visione d’insieme, si veda la pianta dell’area di Voula, Vouliagmeni e Vari in Goette 2001:188 fig. 51.
[ back ] 71. La tesi è sostenuta da Traill 1986:117; Lauter 1982:299 ss.; Langdon 1988:43–45; Goette 1994:123; Id. 2001:190; Stanton 1996:357; Lohmann 1993:57.
[ back ] 72. La zona è stata interessata da intense indagini archeologiche in tempi relativamente recenti, grazie alle quali sono emerse sostanziose tracce dell’antico insediamento, che comprendeva anche i moderni suburbi di Voula e Ano Voula. Si vedano I. Andreou, “Ο δήμος των Αιξωνίδων Αλών.” in Coulson – Palagia 1994:191–209; Lauter 1991:27–70. Tali risultati confermano ed integrano precedenti teorie: Eliot 1962:25–34; Traill 1986:136.
[ back ] 73. Vd. Traill 1986:126; Langdon 1988a:45ss. L’identificazione di Anagyrous nell’area di Vari è pressoché indubbia. Il solo ad opporsi a tale riconoscimento è stato Lauter (1982:305–311; 1991:151–155), il quale ha proposto di localizzare a Vari Lamptrai Inferiore e di individuare Anagyrous tra Glyphada e Voula.
[ back ] 74. Traill 1986:118; Lohmann 1993:57; Goette 1994:123; Id. 2001:190.
[ back ] 75. Goette 1994:124–128, fig. 1 (il graffito è indicato come NR. 2), 7, 8, 9; SEG XLVI 57.
[ back ] 76. In Schörner – Goette 2004:9–10, quest’ultimo ha inserito una considerazione posteriore alla pubblicazione dell’epigrafe, riconoscendo tracce di un’iscrizione in alcuni segni posti nell’estremità inferiore della roccia precedentemente definiti dallo stesso come “scarabocchi successivi senza senso né connessione con il resto del graffito”. Sarebbe riconoscibile perlomeno la parola μνῆμα. Essa non parrebbe comunque porsi in alcuna relazione con la sovrastante iscrizione di Sotimides. E’ opportuno sottolineare che attualmente solo una piccola porzione del graffito di Sotimides risulta visibile, in quanto gran parte dell’iscrizione è stata recentemente coperta dal cemento impiegato per l’installazione di una colonnina topografica moderna. La notizia è riportata nel sito web della Greek Epigraphic Society: http://www.greekepigraphicsociety.org.gr/newsletter_06-2012.aspx?menu=10
[ back ] 77. Le lettere corrispondono al periodo IV (575–525 a.C. ca.) di Larfeld 1902:398–417; cfr. L. Jeffery, The local scripts of Archaic Greece: a study of the origins of the Greek alphabet and its development from the eight to the fifth centuries BC, Oxford 1961:66ss.
[ back ] 78. L’iscrizione è pubblicata in Langdon 2005, vd. soprattutto 176 e figg. 1–5. La presenza del phi squadrato è qui spiegata in relazione alla preferenza di tracciare in tal modo le altre lettere circolari, theta ed omicron, ed è addotto come confronto l’iscrizione IG I³ 1514. Oltre alla particolare forma del phi, l’abbecedario ed il graffito di Sotimides condividono le caratteristiche paleografiche nel loro complesso, elemento che si pone a conferma dell’inquadramento cronologico di entrambi nel 550 a.C. circa. Per theta e omicron squadrati, vd. Immerwahr 1990:146, 153; per l’omicron vd. anche A. E. Raubitschek, Dedications from the Athenian Acropolis, Cambridge, Massachusetts 1949:110.
[ back ] 79. P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, Paris 1999, s. v. ὅρος. Cfr. IG II² 2630, l. 4; IG IX 1², 1, 177 l. 13; SEG XXXII 161, stele IV l. 7. L’editio princeps del graffito presenta stranamente la forma ὅρια. Tale imprecisione deriva evidentemente da un fraintendimento di Goette, il quale infatti specifica: “Das Adjektiv ὅριος ist hier offensichtlich substantivisch gebraucht ” (1994:127). In SEG XLVI 57 è riferita la forma corretta.
[ back ] 80. PAA 869990. Si tratta di Sotimides Phegaieus figlio di Aischines, che fu buleuta probabilmente nel 343/2 a.C. (IG II² 1747, l. 16). Ancora un Sotimides del demo di Phegaia si trova, benché in forma largamente integrata, nell’iscrizione IG II² 449, l. 5, in cui figura in quanto synproedros nell’anno 318/7 a.C. Le due attestazioni potrebbero riferirsi al medesimo personaggio, ma chiaramente non presentano alcuna connessione con il Sotimides menzionato nell’epigrafe rupestre sul Kaminia.
[ back ] 81. Schörner – Goette 2004:10n51. I ritrovamenti sono stati effettuati da Langdon tra il 1996 e il 1998.
[ back ] 82. Dei ritrovamenti ha fatto una menzione preliminare R. Stroud in XI Congresso Internazionale di Epigrafia Greca e Latina, Roma 18–24 settembre 1997, Atti I, Roma 1999:125. (SEG XLIX 2). E più recentemente, Taylor 2011:94–95, 105–106. Alcune di queste iscrizioni, in particolare le rappresentazioni di varie tipologie di navi, sono successivamente confluite in un volume riguardante il tema della navigazione: M. K. Langdon – A. Van de Moortel, Newly discovered Greek boat engravings from Attica in T. Litwin (ed.), Down the River to the Sea. Proceedings of the Eight International Symposium on Boat and Ship Archaeology, Gdańsk 1997, Gdańsk 2000:85–89. Vd. SEG L 101–103. Vd. inoltre Langdon 2005 e SEG LV 83-85. Si attende l’edizione della totalità dei documenti rupestri da parte dello scopritore. Colgo l’occasione per ringraziare M.K. Langdon per avermi invitata a prendere parte ad una delle sue consuete esplorazioni sulla collina del Keramoti/Barako nell’estate del 2011, consentendomi così di osservare sul luogo alcune di queste straordinarie iscrizioni e raffigurazioni rupestri arcaiche.
[ back ] 83. Per un’interessante analisi sociologica dei graffiti rupestri di argomento “erotico” che compaiono sull’Imetto e presso il demo di Thorikos, vd. Taylor 2011. Dal punto di vista metodologico, è particolarmente apprezzabile l’accento posto dalla studiosa sull’importanza di trattare separatamente ciascun gruppo di documenti che formano il vasto corpus di graffiti/iscrizioni rupestri dell’Attica al fine di comprenderne il significato e la funzione (“..there is no overarching way in which to interpret all of these markings as one group. Contestualisation is key”, ibid., 93).
[ back ] 84. Lauter 1991:104.
[ back ] 85. Goette 1994:127 sottolinea a tale proposito che significativamente ancora oggi la collina di Kaminia costituisce un punto di demarcazione tra le comunità di Vouliagmeni da un lato e Varkiza dall’altro, come è stato d’altronde ribadito diversi anni fa con l’apprestamento di una recinzione metallica—nel frattempo distrutta—nei pressi del sito dell’iscrizione di Sotimides. L’importanza della preesistenza di una linea di confine in quest’area, testimoniata dal graffito di Sotimides, è stata riaffermata dallo studioso in Schörner – Goette 2004:9.
[ back ] 86. Lohmann 1983:98 ss., figg. 1–3 (SEG XXXIII 172; XLIII 53; XLVI 213).
[ back ] 87. La sesta iscrizione è stata rintracciata nel 1986, vd. H. Lohmann, “Agriculture and country life in classical Attica.” in B. Wells (ed.), Agriculture in Ancient Greece, Skrifter Utgivna av Svenska Institutet i Athen, 4th ser., 42, Stockholm 1992:29, 33; Id., 1993:54, 447 s., tav. 67, 1–6.
[ back ] 88. L’esistenza di questo settimo horos ha condotto Lohmann ad ipotizzare che l’andamento del confine in questione si protraesse per un tratto considerevole ancora verso nord; si connetterebbe inoltre alla delimitazione l’ “antica pietra di confine” registrata dalle KVA (Bl. 17) ulteriormente a nord, su un’altura posta a sud-est di Skasmeni Petra, a circa 4 km dal più settentrionale degli horoi effettivamente individuati sul terreno. Tale pietra però, inserita nella Table of Attic Rupestral Deme Horoi di Traill al n. 8, non è stata più ritrovata. Nonostante ciò, a parere di Lohmann essa corrisponderebbe perfettamente alla prosecuzione del confine tra la piana di Legrena e quella di Anavysso, il quale si estendeva forse ulteriormente a nord. Vd. Lohmann 1993:54 e fig. 12.
[ back ] 89. Ibid.
[ back ] 90. Lohmann 1993:59 ammette Amphitrope, Besa e Sounion come probabili candidati, mentre Stanton 1996:359 si limita a proporre Amphitrope e Sounion, sostenendo inoltre che l’incisione degli horoi di confine andrebbe ascritta alla volontà di proteggere le proprie risorse agricole da parte dei membri del demo di Atene, i quali si sarebbero in tal modo rivolti ai vicini richiedendo loro di mantenersi entro i propri limiti.
[ back ] 91. Lohmann 1983:100, e sue successive pubblicazioni. Concordano Traill 1986:118, e Stanton 1996:359.
[ back ] 92. Lohmann 1983:99ss.
[ back ] 93. Considerazioni analoghe sono espresse da Krasilnikoff 2010:61–64, ma soltanto in riferimento alle delimitazioni segnalate dalle serie di horoi rupestri presso il Megalo Baphi e il Kaminia. Le epigrafi rupestri di Alepovuni, Thiti e Lathoureza, così come altre serie “discovered … in various places” (cit. da ibid., 62) sono invece interpretate dallo studioso come manifestazioni di interessi di tipo privato nei confronti di determinati terreni e aree appartenenti a singoli cittadini o a società.
[ back ] 94. Cfr. n36.
[ back ] 95. In realtà, Eliot (1962:64) prospetta tre possibilità interpretative in relazione a tale elemento: potrebbe trattarsi di un segno di abbreviazione (la parola interessata sarebbe quella che lo precede, ΟΡ), oppure di un simbolo divisorio tra le prime due lettere e le due seguenti, o ancora esso potrebbe rivestire entrambe le suddette funzioni. In seguito, esso verrà ritenuto un segno di separazione da Traill 1982:164n3, mentre Lauter 1982:303 lo definirà un simbolo di abbreviazione. Va osservato che S diviene il segno di abbreviazione maggiormente in uso in età bizantina, risalendo le sue più antiche attestazioni al II secolo d.C., Avi-Yonah 1940:37, 43–44. Si noti, infine, la differente forma assunta dal segno in questione in una delle iscrizioni rispetto alle rimanenti cinque, nella quale esso appare pressappoco assimilabile ad un sigma a quattro tratti, come nota Traill 1982:tav. 21 d.
[ back ] 96. Per la formula, cfr. Hdt. I 201; II 149; IV 40.
[ back ] 97. IG V 1, 1431, l. 7 (πρὸς μεσημβρίαν) e l. 28 (πρὸς δύσιν). Alla l. 28, si trova inoltre πρὸς ἀνατολήν, sebbene in integrazione. Si noti che l’attestazione alla l. 7 appare in realtà parzialmente mutila, [πρὸς] με̣σημ̣[β]ρίαν, tuttavia la sua ricostruzione non risulta dubbia, essendo la formula ben attestata sia da fonti letterarie (cfr. nota precedente), sia a livello epigrafico, cfr. IG VII 3073; ID 442; Blümel 1987–1988, II, n251, 254, 255, 258; McCabe 1996:n486; SEG XXX 1382(C).
[ back ] 98. IG V 1, 1371 a, c.
[ back ] 99. IG V 1, 1372 .
[ back ] 100. All’iscrizione messenica si aggiungano alcuni documenti provenienti dalla Caria, vd. Blümel 1987–1988, II, n251, 254, 255, 258. Si tratta in tutti i casi di epigrafi databili nel I secolo d.C. La formula si ritrova altresì in documenti non attinenti alla delimitazione di confini, ma nei quali si descrivono parti di monumenti od edifici fornendo indicazioni in base all’orientamento, cfr. IG VII 3073; ID 442; McCabe 1996, n. 486; SEG XXX 1382(C).
[ back ] 101. Traill 1982:164–169.
[ back ] 102. La teoria di Traill riguardante la disposizione degli horoi nel contesto della riorganizzazione macedone delle tribù del 307/6 a.C. ha convinto Langdon 1988, 50, ma non Jones 1999:61–64, il quale sottolinea: “The ‘transfer’ of a deme from one phyle to another exists only on paper; it was an event of no practical significance or consequences where boundaries were concerned”. L’idea espressa da Jones, con il quale si concorda, prevede in generale l’esistenza di confini demici ben precisi, ma posti a separare reciprocamente i demi, e non i demi rispetto alle phylai. Nel caso in questione, la particolare condizione caratterizzante i demi interessati dalla demarcazione—si tratta di due demi “gemelli”, o di un “demo diviso”—poté aver provocato la necessità di definire con esattezza e di segnalare sul terreno i confini tra le due comunità.
[ back ] 103. Lauter 1982:303–304.
[ back ] 104. Stanton 1984:299–301.
[ back ] 105. Harp., s.v. Λαμπτρεῖς; Hsch., s.v. Λαμπτρεῖς; Phot., s.v. Λαμπτρεῖς; Suid., s.v. Λαμπτρίς. Per un elenco delle attestazioni epigrafiche, si veda Traill 1975:126 e Id. 1982:164–165.
[ back ] 106. IG V 1 1371 ac.
[ back ] 107. Cfr. i già trattati horoi con lettere supplementari presso Alepovuni e la serie ΖΩ–ΒΑ a Lathuresa (infra).
[ back ] 108. Le lettere Π e Ρ sono congiunte da un nesso.
[ back ] 109. Lauter 1982:303, ha inizialmente riconosciuto che “in ΠΜ ist ein genitivischer Name zu erwarten”. Cfr. Stanton 1984:300.
[ back ] 110. Stanton 1984:300–301, con n58 per i riferimenti a Milchhöfer, Löper e Judeich. Cfr. Eliot 1962:58–59n31, secondo il quale in definitiva non vi sono testimonianze sufficienti per la localizzazione e neppure per determinare a quale trittia appartenesse Pambotadai.
[ back ] 111. Vd e.g. B. Meritt – J.S. Traill, The Athenian Agora vol. XV: Inscriptions. The Athenian Councillors, Princeton 1974:nn42, 86, 137, 141, 286. Vd. anche il grande catalogo demico IG II² 2362.
[ back ] 112. Traill 1982:167n17; Id. 1986:126.
[ back ] 113. Ibid., 118 e nota 13, 126. L’elenco dei demi della paralia si trova in Str. IX 1, 21–22.
[ back ] 114. In una posteriore pubblicazione, Lauter (1991:103–104) si è mostrato pronto a rigettare la sua iniziale interpretazione degli horoi come ὅρ(ος). Π(αραλίας) Μ(εσογείας), ritenendo plausibile piuttosto la proposta di Stanton ed ammettendo la possibilità di localizzare Pambotadai a Thiti. La spiegazione di Stanton è stata invece rifiutata da Traill, 1986:118–119, il quale ha innanzitutto evidenziato che “Pambotadai was a most insignificant deme”, e in secondo luogo il fatto che la posizione del demo rimane effettivamente ignota. Lohmann 1993:58n434, ha invece definito la lettura di Stanton “un passo indietro” nella ricerca, in quanto le attestazioni di demotici abbreviati consistono sempre nelle prime tre o quattro lettere della parola.
[ back ] 115. Stanton 1984:301; Id. 1996:358–359. Degna di scarsa nota pare la proposta avanzata da J. Bicknell, “Kleisthenes and Kytherros.” Mnemosyne 28, 1975:58n15, il quale suggerisce di identificare Pambotadai a Chasani (quindi nelle immediate vicinanze del demo di Euonymon) sulla base del rinvenimento in questo sito di una singola stele funeraria (IG II² 7141) relativa a membri del demo. In apparente accordo con la localizzazione, Siewert 1982:105n105. Si consideri infine la teoria di S. G. Miller, “Pambotadai found?” BCH 117, 1993:225–231, il quale propone di identificare Pambotadai nei pressi di Pikermi, nell’area nord-orientale dell’Attica. In tale posizione, tuttavia, il demo si troverebbe completamente isolato rispetto a tutte e tre le trittie della tribù Eretteide (si tratterebbe quindi di un’enclave); ma soprattutto, anche in questo caso la congettura si fonda sul ritrovamento di una lapide funeraria appartenente ad un demota di Pambotadai nell’area del sito di età classica presso Drafi. L’attendibilità di un simile procedimento metodologico è stata da tempo generalmente respinta, cfr. Stanton 1994:186–187 e n91.
[ back ] 116. Larfeld 1902:515–533; Avi-Yonah 1940:21–29; Guarducci 1967:398–407. Stanton 1996:358–359, ha riportato come esempio di una tale forma di abbreviazione in Attica in epoca romana le due lettere ΑΡ, usate sovente per esprimere il nome Α(ὐ)ρ(ήλιος).
[ back ] 117. Stanton 1996:358 ha cercato conferma di ciò sostenendo che Goette avrebbe ipotizzato una datazione delle iscrizioni nel II secolo a.C. sulla base di un supposto “uso occasionale di apici nelle lettere”; l’affermazione si sarebbe dovuta trovare in Goette 1995, contributo non ancora edito quando Stanton scriveva. Tuttavia, nell’articolo pubblicato in seguito da Goette non vi è traccia di tale considerazione di carattere cronologico. Ad ogni modo, lo studioso si è espresso qui (p. 239n12) sull’interpretazione delle lettere Π e Μ, che a suo avviso andrebbero sciolte con “Paralias Mesogeias”; l’interpretazione si allinea alle conclusioni tratte in precedenza da Traill, ma si basa su una differente motivazione, in quanto Goette ha riferito gli horoi alla demarcazione, “in archaistischer Art”, di un confine tra le aree costiera ed interna delle tribù preclisteniche. Fondamento di ciò si troverebbe nella notizia tramandata da Polluce (VIII 109) di una tripartizione territoriale di tali phylai, delle quali si suppone la persistenza anche dopo la creazione delle nuove dieci tribù da parte di Clistene, su cui vd. K. W. Welwei, Athen. Vom neolitischen Siedlungplatz zur archaischen Grosspolis, Darmstadt 1992:119 ss. Vd. anche Goette 2001:198, dove le iscrizioni di Thiti sono intese come segnali del confine tra un demo (o una trittia) costiero ed uno interno.
[ back ] 118. Stanton 1996:359. Come per le altre serie di horoi rupestri attici, anche in questo caso Stanton ha ritenuto che motivo dell’insorgenza della necessità di fissare le delimitazioni fosse stata la volontà dei membri di un demo di proteggere i propri terreni da pascolo dai pastori appartenenti alla comunità limitrofa. Lo studioso, inoltre, pur ammettendo la natura totalmente ipotetica dell’identificazione di Pambotadai nell’area in questione, ha affermato che la sua proposta di interpretazione del testo delle iscrizioni potrebbe rimanere valida anche nel caso in cui non si accettasse la suddetta localizzazione. In tal modo, tuttavia, non è chiaro come si possa ammettere con Stanton che i demoti di Lamptrai possano aver deciso di annunciare l’invalicabilità del confine tramite una serie di horoi il cui testo reciterebbe “confine di Pambotadai” agli abitanti dei villaggi posti a sud della cresta presso Thiti, “whether or not these were the demesmen of Pambotadai”.
[ back ] 119. La proposta più verosimile pare quella espressa recentemente da Krasilnikoff 2010:59–60, il quale, interpretando la collina di Thiti nei termini di un terreno marginale di bassa qualità sfruttato per il pascolo e la raccolta di legna (esso rientrerebbe nella categoria dei phelleis, così come essa è stata definita dallo studioso medesimo, cfr. Id. 2008), ammette la possibilità che nelle lettere ΠΜ delle iscrizioni rupestri di Thiti siano da identificare le iniziali di uno o più proprietari terrieri—privati o in collegialità-. Una spiegazione analoga è offerta da Krasilnikoff in relazione alle altre serie di horoi con lettere aggiuntive, ossia quelle di Alepovouni e la serie ΖΩ-ΒΑ di Lathouriza, ibid. 2010:60–61.
[ back ] 120. Vd. n31 e Lauter 1985.
[ back ] 121. Lauter-Bufe 1979:161–192.
[ back ] 122. Cfr. supra; Eliot 1962:41 s.
[ back ] 123. Langdon 1988a:75 ss. Vd. figg. 1–2 per l’ubicazione di Lathouriza e per la disposizione degli horoi sulla collina; tav. 2–3 per le fotografie e fig. 3 per gli apografi delle iscrizioni. Vd. anche Travlos 1988:460, figg. 579–580.
[ back ] 124. Cfr. l’identica configurazione di due horoi della serie presso Kaminia.
[ back ] 125. Cfr. Avi-Yonah 1940:38 s.; L. Threatte, The Grammar of Attic Inscriptions: I. Phonology, Berlin – New York 1980:87 s.
[ back ] 126. Langdon 1988a:76.
[ back ] 127. Cfr. Larfeld 1902:490–501. L’omega dell’horos inciso sulla vetta del colle presenta una linea più morbida e curva, mentre nell’altra iscrizione esso appare decisamente squadrato. Per una lista (non completa) di attestazioni della peculiare omicron a forma diamantata, vd. Langdon 1988a:78.
[ back ] 128. Eliot 1962:42n21: “…in the geographical context of Cape Zoster, one possible interpretation of the first line might be that it represented the name Zoster, the expanded form being either nominal or adjectival”.
[ back ] 129. Cfr. St. Byz., s. v. Ζωστήρ· τῆς Ἀττικῆς ἰσθμός, ὅπου φασὶ τὴν Λητὼ λῦσαι τὴν ζώνην, καθεῖσαν ἐν τῇ λίμνῃ λούσασθαι. Ἐνταῦθα θύουσιν Ἁλαιεῖς Λητοῖ καὶ Ἀρτέμιδι καὶ Ἀπόλλωνι ζωστηρίῳ. Ὁ τοπίτης Ζωστήριος. La testimonianza è richiamata da Eliot (1962:25) per suffragare la supposizione secondo la quale i demoti di Halai Aixonides sarebbero stati talvolta definiti Ζωστήριοι; tuttavia, a ben vedere, nel passo si afferma esclusivamente che il τοπίτης assumeva la designazione di Ζωστήριος, mentre gli abitanti erano detti appunto Ἁλαιεῖς. In realtà, la testimonianza che aveva fatto insorgere in Eliot il dubbio che gli Halaieis potessero essere altresì chiamati Zosterioi è un’annotazione di Pausania (I 31, 1), il quale annovera un Ζωστήρ ἐπὶ θαλάσσης tra i demi dell’Attica. Ma come osserva lo stesso Eliot, l’indicazione di Pausania circa l’esistenza di un demo chiamato Zoster è evidentemente errata. Cfr. già H. Hitzig – H. Blümner, Pausaniae Graeciae descriptio I, Berlin-Calvary 1896:117. Tuttavia, essa potrebbe a suo avviso rappresentare una spia del fatto che i membri di Halai Aixonides venissero definiti anche Zosterioi.
[ back ] 130. Cfr. Traill 1975:96.
[ back ] 131. Langdon 1988a:79–80.
[ back ] 132. E’ naturale che il pensiero corra in primo luogo a Βάρη (Vari), la moderna località situata immediatamente ad est di Lathouriza; il nome, tuttavia, è di origine albanese, come sottolineava già Milchhöfer in KVA, Text, III-VI, 15 e RE 1, col. 2028, s. v. “Anagyrus”. Vd. poi P. Phourikis, “Συμβολή εις το τοπωνυμικόν της Αττικής.” Athena 41, 1929:98–99; Eliot 1962:35n2. Per una diversa proposta etimologica, secondo la quale Βάρη deriverebbe da Βᾶρις, con il significato di πύργος, vd. I. Sarris, “Τα τοπωνύμια της Αττικής.” Athena 40, 1928:128. Nonostante tale spiegazione non abbia ottenuto consensi, Traill 1986:145n54, pur senza accettare l’idea di Sarris, ha interpretato il moderno toponimo Βάρη come un derivato del ΒΑ delle iscrizioni.
[ back ] 133. Langdon 1988a:80–81. Concorda con questa visione Goette 2001:192.
[ back ] 134. Lauter 1991:63–65.
[ back ] 135. Si tratta di considerazioni emerse durante una discussione sugli horoi rupestri avvenuta a Bochum nel giugno del 2011. Ringrazio Hans Lohmann per avermi resa partecipe di queste sue interessanti idee che, viste le sovraesposte notevoli difficoltà interpretative incontrate da coloro che si sono occupati delle due serie di iscrizioni, e in virtù della totale sensatezza delle sue nuove ipotesi, risultano in effetti piuttosto convincenti.
[ back ] 136. Langdon 1978:109n2, fig. 4; SEG XXVIII 207:2. L’iscrizione è stata registrata in seguito da Traill 1986:117n11, tra gli “other possible deme horoi” della sua tabella degli horoi attici rupestri. Vd. anche Goette 2000:11–12, il quale precisa l’effettiva posizione occupata dall’iscrizione, che non era stata adeguatamente descritta da Langdon nell’editio princeps.
[ back ] 137. Le notizie sono riferite da Stanton 1996:359–360. Per una visione dell’area presa in considerazione e dell’ipotetica linea di confine demarcata, vd. fig. 16.
[ back ] 138. L’horos scoperto a 14 m dalla “Golden Pig Tower” si colloca in una posizione che condurrebbe ad associarlo alla serie, ma la significativa discrepanza nelle dimensioni delle lettere (nell’ordine degli 0, 03–0, 04 m. contro gli 0, 11–0, 14 m. dei quattro horoi di Spitharopoussi), unitamente alla differente forma delle stesse (sigma a quattro tratti), ostacolano nettamente una simile interpretazione. Cfr. Traill 1986:121; Stanton 1996:360. L’horos è edito in Langdon 1978:109–110, fig. 5.
[ back ] 139. Traill 1986:140; Lohmann 1993:79, 109; Goette 2000:11.
[ back ] 140. Langdon 1988a.
[ back ] 141. Lohmann 1993:54.
[ back ] 142. Traill 1986:117n5, 120, tav. 16. 2 e 16. 3. La scoperta si deve in un caso a Langdon (nel 1983) e nell’altro a Camp (nel 1986).
[ back ] 143. Traill 1986:120. Lo studioso non escludeva tuttavia l’opportunità che fosse qui delimitata una remota proprietà dell’assai più distante demo di Hagnous, a suo avviso appetibile per via del trasferimento in una delle due tribù macedoni da esso subìto nel 307/6 a.C. Per la posizione di Hagnous, vd. ibid., 132.
[ back ] 144. Così anche Stanton 1996:360. Sulla localizzazione di Prasiai e Steiria, vd. Traill 1986:129.
[ back ] 145. Traill 1986:117, 120, tav. 16. 4. Traill si è riferito ai demi di Phrearrhioi o Anaphlystos come possibili candidati interessati dalla delimitazione. Per la posizione dei due demi, vd. ibid. 131 e 140.
[ back ] 146. Vd. Stanton 1996:363.
[ back ] 147. Ch. N. Petrou-Anagna, “Διαπραγμάτεσις ἐπιγραφῶν τινων ἐξ Ἀττικῆς.” Hellenika 8, 1935:219–220; Traill 1986:117n10, 121.
[ back ] 148. Kiteza si colloca presso Lagonissi, nel tratto costiero dell’Attica sud-occidentale compreso tra le località di Hagios Dimitrios a nord e Saronida a sud. I demi di Aigilia e Thorai non sono stati sinora localizzati, cfr. Traill 1986:139-140.
[ back ] 149. Il dubbio è manifestato anche da Traill, 1986, 117 n. 8, il quale ha inserito l’iscrizione nella sua tabella, ponendo tuttavia un punto interrogativo nella sezione riguardante il supporto epigrafico e sottolineando (ibid., 120) che l’horos è stato cercato invano da Vanderpool, da Langdon e da lui stesso. Si noti che Traill ha registrato l’epigrafe come ΟΡΟϹ, senza che tuttavia sia disponibile alcuna notizia in grado di dimostrare quale fosse la sua forma effettiva.
[ back ] 150. Traill 1986:117; Lohmann 1983:104; Id., 1993:60, 108.
[ back ] 151. R. Loeper, “Die Trittyen und Demen Attikas.” MDAIA 17, 1892:413, riteneva che l’assenza (allora) di tracce archeologiche non costituisse alcun impedimento per la localizzazione di Trinemeia a Kokkinarás; infatti, da un lato le dimensioni del demo dovevano essere piuttosto limitate, e dall’altro, trovandosi pressappoco alle pendici del Pentelico, le sue rovine potevano essere state sepolte dalla caduta di abbondanti quantità di terra e pietre. Ha mantenuto l’identificazione, basata su un passo di Strabone (IX 1, 24), Traill 1986:135, e l’ha ora confermata Goette 2010:135–136.
[ back ] 152. H. R. Goette, “Quarry roads on Mt. Pentelikon and Mt. Hymettus,” in H. R. Goette (ed.), Ancient roads in Greece: proceedings of a simposion organised by the Cultural Association Aigeas (Athens) and the German Archaeological Institute (Athens) with the support of the German School at Athens, November 23, 1998, Hamburg 2002:93, tav. 32 a. b. (SEG LI 155); e Id. 2010:135–136, ove lo studioso comunica che ulteriori ricerche effettuate nella medesima zona non hanno condotto al ritrovamento di altri horoi appartenenti alla serie.